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L'agorà sul Porto Vecchio di Trieste, voci a confronto in una città al bivio

Il 30 luglio Il Piccolo a pagina 19, in testa alla cronaca cittadina, pubblica questo titolo: “Lavori da 600 milioni per Porto Vecchio – il progetto di recupero dell’antico scalo, la giunta approva la proposta di Costim. Il colosso bergamasco dietro il partenariato pubblico-privato sui Magazzini. Il sindaco Dipiazza: una giornata storica”.

Si apre il sipario su un capitolo strategico fondamentale per Trieste. La città registra un’improvvisa accelerazione amministrativa e la dialettica si divarica, da una parte la giunta che preme sui tempi, dall’altra un’importante parte di città che segnala l’utilità, l’importanza, forse anche la necessità, di un dibattito più largo, più partecipato. In gioco c’è moltissimo, è l’area che può cambiare il futuro del territorio oppure, in alternativa, è una grande opportunità che, se giudicata male, può depotenziare Trieste per generazioni.

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A questo punto Il Piccolo apre un dibattito e in questo percorso c’è una tappa importante venerdì 29 agosto con la lettera aperta che l’imprenditore Federico Pacorini rivolge al sindaco. «Ventisette anni fa – spiega – guidavo la pacifica invasione dello scalo, trovando un entusiasmo e una partecipazione che invece oggi non vedo». E ancora: «Va evitato che la città si schianti davanti all’impreparazione e all’approssimazione mostrata da questa amministrazione».

Seguono tanti contributi, nuove voci, spunti di reale riflessione. L’agorà su Porto Vecchio è questa, sono le pagine del Piccolo, che intende esercitare il suo ruolo di attore nel bene della città. Un’agorà che resta aperta.

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Gianfranco Carbone (avvocato)

«Non avere fretta: chiarezza e trasparenza»

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Parte anche lui dalla lettera di Federico Pacorini, che definisce «memoria storica» di un progetto di riqualificazione del Porto Vecchio il quale «non affidava le scelte a un privato» ma «valorizzava i poteri di indirizzo della pubblica amministrazione». «È un appello accorato», premette l’avvocato Gianfranco Carbone. «Non dovrebbe trovare indifferente la città».

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Ci sono tappe storiche che vanno ricordate. Trieste Futura, come prima Polis e Bonifica, le concessioni dell’Autorità portuale per interventi di portualità allargata bocciate dal Tar, l’assegnazione (rinunciata) a De Eccher-Maltauro. «Tutto questo – ricorda Carbone – non riuscì a sbloccare lo stallo nella riqualificazione del Porto Vecchio, avendo subito opposizioni locali che sono andate scemando nel corso dei decenni, per l’evidenza del degrado e l’impossibilità di ipotizzare la continuazione di un uso esclusivamente se non prevalentemente portuale, sostenuto sempre più flebilmente da alcuni ambienti politici ed economici».

Non è stata irrilevante per modificare il «trend dell’inerzia», dice, neanche l’iniziativa parlamentare di Francesco Russo di dieci anni fa, che ha consentito di sdemanializzare l’antico scalo superando così «resistenze e perplessità – precisa l’avocato – di una cultura imprenditoriale, finanziaria e bancaria non usa a investire su aree date in concessione e non in regime di proprietà».

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Pacorini, ripete Carbone, «ha ragione a sollecitare pubblicamente il sindaco a un maggior coinvolgimento dell’opinione pubblica, prima dell’adozione di una delibera che – annota – secretata nei contenuti, avvia una procedura di valutazione di un project proposto da una società che sembrerebbe impegnata in operazioni analoghe in altre città d’Italia». «Ogni amministrazione – aggiunge Carbone – compie legittimamente le sue scelte e viene giudicata dai risultati. Pacorini ha evidenziato i limiti e le capacità dell’agire dell’oggi, critica alla quale – precisa – potrebbe rispondere l’attuale maggioranza che sta operando per gettare le fondamenta delle potenzialità che intende consolidare».

La discussione deve svolgersi nell’assoluta chiarezza e trasparenza. «Primo fra tutti – annota l’avvocato – il Comune dovrebbe spiegare le ragioni di accettare una procedura che, normalmente, viene utilizzata per realizzare opere pubbliche coinvolgendo, per finanziarle, privati che poi recuperano il loro investimento nella successiva gestione. Potrebbe avere buone ragioni ma dovrebbe spiegarle con maggiore capacità di convinzione: sembra difficile pensare – afferma – che la società abbia la possibilità di investire centinaia di milioni di euro di risorse proprie per riqualificare e gestire l’enorme patrimonio edilizio del Porto Vecchio».

«Sarebbe opportuna – sostiene l’avvocato – una discussione pubblica sugli obiettivi, prima di adottare atti vincolanti: abbandonando quella sorta di “ansia anticipatoria del fare a tutti i costi”, si potrebbe discutere – propone Carbone – se sia corretto o meno affidarsi a un piano di utilizzo proposto da un privato che potrebbe voler sommare le propensioni all’investimento e le destinazioni d’uso al momento più convenienti di tanti singoli operatori, rinunciando a una visione d’insieme che solo l’amministrazione pubblica può indicare».

«Non ho alcun titolo per suggerire strumenti alternativi per evitare un utilizzo forse improprio del project financing», precisa l’avvocato Carbone, limitandosi a evidenziare come «gli obiettivi della riqualificazione del Porto Vecchio – propone ancora – potrebbe essere oggetto di “dibattito pubblico”, normato anche dal nostro Codice dei Contratti pubblici».

«Un dibattito – conclude Carbone – nel corso del quale individuare contenuti, obiettivi e anche strumenti finanziari e procedure più utili, e consentire al Consiglio comunale di valutare l’interesse pubblico prevalente e la sua ponderazione con l’interesse del privato, il quale – conclude – deve sempre sottendere l’approvazione delle procedura di riqualificazione territoriale e urbanistica». —

Francesco Cervesi (ingegnere civile)

«Navi e servizi, perché solo una proposta?»

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Tra i «volontari» dell’apertura straordinaria del Porto Vecchio, più di vent’anni fa, c’era anche lui. «Era il 1997 o il 1998, vado a memoria», attacca l’ingegnere civile Francesco Cervesi. «Ricordo molto bene l’entusiasmo – racconta – di tutti i partecipanti all’evento, che per la prima volta permise ai triestini di entrare in quello scalo». Quando poi nel 2008 l’Autorità portuale pubblicò il bando per la concessione dell’area e dei suoi antichi edifici, a proporsi per fare investimenti in quei sessantasei ettari furono in 33: tra i tanti progetti, vinse il suo. Poi passarono altri anni.

Non si trattava di un’impresa semplice, allora meno che oggi. Bisogna infatti arrivare fino al 2015 perché l’entrata in atto della sdemanializzazione del Porto Vecchio potesse risolvere il problema della sostenibilità economica di qualsivoglia progetto di recupero. «Eppure oggi – riflette Cervesi – in queste più favorevoli condizioni, dopo una lunga attività dell’advisor internazionale incaricato dalla precedente amministrazione, dopo l’attività del Consorzio Ursus per la promozione dell’area, abbiamo notizia di una sola proposta: come mai, dov’è finito l’entusiasmo di allora?».

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La scommessa è quella di fare del Porto Vecchio un «hub per yacht e megayacht», lo dice anche il sindaco. A disposizione ci sono due specchi acquei da attrezzare, che per dimensioni sono equivalenti se non più grandi di tutta la Sacchetta. «Porto Vecchio – osserva – potrebbe essere l’home port di quelle particolari navi da diporto valorizzando, anche, la presenza dei cantieri navali e delle tante aziende specializzate presenti in città».

Trieste non ha le coste della Dalmazia o della Grecia, è vero. Ma a differenza di altri porti e altre marine in tutto l’Adriatico, ha tutto quello che serve per riparare, mantenere in efficienza e ristrutturare queste grandi navi. «E abbiamo anche – aggiunge Cervesi – una città alle spalle, in grado di dare agli equipaggi tutti i servizi necessari nei periodi di ormeggio». In ogni caso, Porto Vecchio non perderà la sua essenza. «Sarà sempre porto, non sarà il nuovo centro storico né un quartiere turistico di lusso: va creata economia del mare».

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Il recupero dello scalo non si fa senza il convinto apporto di capitali, idee e lavoro dei triestini, questo il presupposto. «La realizzazione del centro congressi ne è la prova», dice.

I problemi da risolvere non mancano, Cervesi ne elenca alcuni: dalla bonifica e sistemazione dei torrenti Chiave e Martesin, a quella del Terrapieno e del suo specchio d’acqua. Vanno completate le infrastrutture, e potenziate le reti, in particolare quella elettrica in previsione delle nuove attività commerciali che si vuole insediare in quell’area. Va gestita la presenza della concessione di Adriaterminal. «Bisogna capire – osserva – come il Comune intenderà strutturarsi per gestire l’ingente mole di autorizzazioni necessarie alla realizzazione del progetto, oltre che per realizzare in modo coordinato le opere di propria competenza: opere di urbanizzazione per prime».

L’imminente discussione in Consiglio comunale, comunque, sarà l’occasione per capirci di più. «Quando il tema arriverà in aula – annota Cervesi – sarà l’occasione per comprendere a fondo i contenuti della proposta di Costim, per capire come si intendo trasformare e riusare le aree del Porto Vecchio, e forse anche per apportare migliore alla proposta stessa». Poi, superato l’iter burocratico, andando verso la gara si apriranno ben altre domande. «C’è la volontà – si chiede l’ingegnere – da parte degli imprenditori locali a supportare questa proposta? E da parte del proponente di aprire, allargando la propria compagine?».

L’auspicio, comunque, è che la discussione sia più ampia e approfondita possibile, che riappassioni i triestini. Che faccia tornare quella voglia di «entrare straordinariamente» in Porto Vecchio. «Perché presa la decisione – dice Cervesi – quale che sia, poi si apriranno altre sfide: e bisognerà remare tutti nella stessa direzione».–

Graziella Bloccari (presidente Ordine degli architetti)

«Mettere al centro le esigenze del cittadino»

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«Il futuro del Porto non è solo il Porto». Ruba una citazione a Zeno D’Agostino per immaginare il futuro dello scalo, non “unico” e “alienato” ma integrato al resto della città. «Il Porto Vecchio, ora Porto Vivo, non può essere trattato come una zona confinata ed estranea di Trieste», premette la presidente dell’ordine degli architetti triestino Graziella Bloccari. «È indispensabile – dice – pensare alle relazioni tra lo scalo e la città, ai collegamenti, alla viabilità».

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I modelli di riferimento sono le proposte di Polis e Bonifica degli anni Novanta, ma oggi la rigenerazione del Porto Vecchio dovrà superarli e rispondere alle esigenze di «un’urbanistica di nuova generazione, che non pensi – osserva – solo a destinazioni d’uso o indici edilizi, ma guardi al benessere del cittadino, dove la persona è al centro di qualsiasi progetto». Punto obbligato di queste relazioni dovranno essere le Rive, in senso ampio. «Gli interventi di riqualificazione – dice – devono pensare alle percorrenze e agli accessi, senza trascurare la viabilità sulle Rive, che dovrebbe essere sotterranea, almeno in parte». Inevitabile, poi, chiedersi come la collocazione degli uffici regionali potrà contribuire alla vitalità dell’area. «Uffici di queste dimensioni – riflette – non possono offrire questi apporti».

La grande ricchezza di Trieste è il mare, cardine storico del suo sviluppo. «Porto Vivo – continua l’architetta – deve guardare al mare, e c’è quindi bisogno di interventi integrati, che pensino oltre la rigenerazione urbana: dotazioni territoriali, connessioni, creazione di nuove opportunità di lavoro». Tutto andrà condotto nel coinvolgimento sociale. «La città – riflette – ha bisogno di attori capaci di operare non solo sulla costruzione fisica, ma anche sul senso di comunità».

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C’è dunque necessità di ripensare alle relazioni tra spazi e vita, tra quotidiano e aspettative di benessere, tra natura e città, senza dimenticare che «Trieste – annota Bloccari – si è trasformata in ragione di processi complessi, fatti di scambi, confini, commerci, proprietà e non solo da interventi fisici o architettonici: altrettanto articolato dovrà essere l’intervento su un’area così vasta».

Nei progetti in serbo per Porto Vecchio andrà tenuta in considerazione la tendenza all’invecchiamento della popolazione, per cui la città andrà ripensata non come spazio “di” anziani ma “per” gli anziani. La crisi climatica imporrà poi una riflessione sui materiali da utilizzare nei cantieri, alternative sostenibili al cemento e all’asfalto.

«L’artificiosità del quotidiano, l’uso massivo dell’automobile, l’influenza dei social – osserva Bloccari – hanno sradicato dal territorio gli individui: il vicinato è sfumato, i quartieri hanno perso coesione. Le persone si organizzano in termini di limiti, date, consegne. Se in una soleggiata domenica passo davanti a un centro commerciale, con il parcheggio ridondante di auto, mi chiedo perché la gente non preferisca un bosco: spero che questo recupero risponda a nuove esigenze, crei altri bisogni». Il turismo, ad esempio, deve essere un’opportunità e non un problema. «Troppo spesso – ricorda Bloccari – i turisti invadono le città, distorcendo l’economia locale, senza però avere alcun rapporto con la vita cittadina». Queste abitudini vanno cambiate, «pensando – dice – a un “turismo posato”, decelerato, dove chi arriva non si fermi solo qualche ora ma almeno qualche giorno».

Prima, però, si dovranno avviare i lavori, trovare gli accordi e far collimare interessi e responsabilità. Il fiore all’occhiello di Costim, proponente del project financing, è il “Chorus Life” a Bergamo, presentato sul sito della società come un modello replicabile in cui «ogni barriera viene annullata, dalla visione di “città del futuro” del cav. Domenico Bosatelli».

«Conosco Carlo Ratti, Pierluigi Cervellati, Carlos Moreno, ma come urbanista il cav. Bosatelli mi mancava!», dice ironicamente. «E visto che a Bergamo il mare non c’è – aggiunge poi Bloccari – non ci resta che sperare che “il parco urbano fra Carso e città” possa funzionare, che potremo chiamare veramente il Porto “Vivo”, e che non torni il “Porto Morto”!».

Giorgio Tomasetti (imprenditore edile)

«Un progetto condiviso e tecnici liberi»

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Sessantasei ettari disabitati, sdemanializzati e quindi liberi, da riqualificare e riconnettere alla città, ma come? Per l’imprenditore Giorgio Tomasetti serve anzitutto un potente progetto politico di base, che sia «sviluppato» e «condiviso», capace di sopravvivere alle campagne elettorali e di accompagnare Porto Vecchio nel suo futuro a lungo termine.

«Bene ha fatto Federico Pacorini a intervenire in merito a Porto Vecchio – Porto Vivo e a richiamare il sindaco Roberto Dipiazza a una maggiore informazione ai cittadini», premette subito Tomasetti nel suo lungo intervento, insistendo sulla necessità di spalancare non solo quello scalo ma anche – e soprattutto – il dibattito attorno ai progetti di quell’area, inevitabilmente destinata ad appartenere per sempre a Trieste.

Un waterfront vasto, enorme, con pochissimi – o nessun – pari in tutto il resto d’Europa, da restituire e integrare al resto della città attraverso cantieri che dureranno come minimo un decennio. Per riuscire in quest’impresa serve un progetto «grandissimo e vitale per Trieste», che sia «frutto innanzitutto – osserva Tomasetti – di analisi delle esigenze odierne e di quelle dei prossimi decenni».

Un piano che tenga in considerazione prospettive di «crescita moderna e proiettata in avanti», di «vivibilità equilibrata ma dinamica, flessibile e adattabile alle necessità e alle condizioni di vita ipotizzabili nel futuro». Un piano, anche, di «impegno e utilizzo di tecniche appropriate al luogo e alla città, città che – riflette l’imprenditore – deve auspicabilmente essere rinvigorita e spinta a controbattere il calo demografico».

Riqualificare, riaprire e restituire Porto Vecchio ai triestini, insomma, non è un’impresa facile. Non lo è mai stata, mai in decenni di tentativi e idee per motivi e ostacoli diversi mai realizzate. «Serve – precisa Tomasetti, già vice presidente del Congafi per le piccole industrie – anzitutto un potente progetto politico di base, sviluppato e condiviso con tanti soggetti competenti e leali»: nomi che siano «depurati da piccoli interessi, quali – annota – la conquista del voto alla prossima elezione».

È «doveroso» e «urgente», ritiene l’imprenditore, che si crei un nucleo di persone «ultra competenti, oneste e libere da partiti: un nucleo di super tecnici, che – precisa – sappia sviluppare con concretezza, razionalità, praticità e lungimiranza il progetto politico ideato prima», e che soprattutto «sappia sopravvivere – osserva Tomasetti – alle campagne elettorali, offrendo a quest’impresa garanzie di continuità e senza interruzioni dovute a inevitabili rinnovi politici».

Non deve essere interpretata come «un’abdicazione» da parte dell’attuale sindaco Dipiazza, mette in chiaro Tomasetti: semmai «un’ordinata definizione dei ruoli, a vantaggio di un buon risultato finale». «Oggi – continua l’imprenditore – io vedo abbastanza confusione per il recupero di una parte importantissima della città, che vogliamo tutti più bella, più attraente, più organica». E proprio da questa «confusione» parte l’invito all’amministrazione – ma non solo – per maggiore «chiarezza» sul progetto completo di project financing proposto da Costim. «Desidererei – continua – chiarezza, un programma organico, un coinvolgimento controllato e non disomogeneo di progettisti molto capaci: un disegno finale serio e totalmente godibile».

«Non vorrei – dice Tomasetti – un affidamento a un unico soggetto economico, perché lo ritengo rischioso, senza nulla togliere alle capacità della Costim. Preferirei, per cautela, piuttosto un affidamento frazionato a due o tre soggetti. Vorrei una previsione di costi e di mantenimento molto reale e valida per gli anni futuri, vorrei una guida non da “un solo uomo al comando”, ma – conclude – risultante da una sintesi di verifiche profonde, rapide, competenti. Lo spero». —

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