VERONA. Non promette nulla di buono, il cielo sopra Verona. Se lo si scruta dalle terrazze di Palazzo Maffei, che è un gioiello di architettura e uno scrigno d’arte affacciato su piazza delle Erbe – la più vivace della città – quel cielo carico di nubi scure sembra dire no. Non si farà teatro questa sera. Non ci sarà il debutto. All’aperto, “Sior Todero brontolon” di Carlo Goldoni non potrà andare in scena. La pioggia è il peggior nemico degli attori e del pubblico. E dove, tra le antiche pietre del teatro romano, gli spettatori potrebbero trovar riparo?
Eppure la serata è stata preparata con minuzia. Il Teatro Stabile del Fvg (assieme a Teatro degli Incamminati e Centro Teatrale Bresciano) ha da mesi annunciato lo spettacolo. Gli attori sono pronti. Le marionette di Podrecca che, a modo loro, recitano pure, scalpitano impazienti nei bauli.
A un certo punto il cielo imbronciato si quieta. Fa sperare in una tregua. Pioggia sì, ma più tardi. Temporale magari, ma a notte fonda. “Sior Todero brontolon” ha il via libera.
Il teatro romano di Verona (e la sua rassegna estiva) sono il luogo d’elezione degli Shakespeare italiani (e non solo). Qui debuttano gli allestimenti che anno per anno danno ulteriore lustro alla città di Romeo e Giulietta. Ma all’elenco non sfuggono i più importanti testi di Carlo Goldoni.
Il “Todero” è una delle scelte di punta dello Stabile Fvg quest’anno. Paolo Valerio che lo ha scelto e ne ha approntato la regia, ha sulle spalle una cospicua esperienza goldoniana. Franco Branciaroli che ne è protagonista, sembra mostrare oramai una propensione spiccata, se non una passione, per certi caratteri burberi, brontoloni. Ne interpretava uno simile qualche mese fa, proprio al Rossetti, quando con Umberto Orsini bisticciava in “I ragazzi irresistibili”. Ma anche “Il mercante di Venezia” e “Per un sì o per un no”, nelle stagioni precedenti, gli avevano fornito materiali per profili di uomini quanto meno. .. fastidiosi.
Anche Todero – non c’è altro modo per dirlo – è un vecchio molesto. «Avaro, superbo, ostinato» dicono di lui in famiglia, quel piccolo universo veneziano che Todero governa e tiranneggia. «Comando mi, son paron mi». Del resto poco gli importa. La spilorceria lui la chiama economia, la superbia è punto d’onore, e l’ostinazione, beh, quella per lui è garanzia.
Attorno a un tal caratteraccio si muove il girotondo degli altri personaggi. Prima fra tutti la nuora Marcolina (Maria Grazia Plos) che, volendo essere aritmetici, si accaparra la buona parte delle battute del testo. E fa bene, perché è una guerriera, e deve difendere la figlia Zanetta (Roberta Colacino) dall’avarizia del vecchio che vorrebbe costringere la nipote a nozze infelici. Per risparmiare sulla dote, naturalmente. A scatenare la comicità del testo è il marito di Marcolina (e figlio di Todero) Pellegrin: un “pampalugo” che a cui Piergiorgio Fasolo regala gag saporite e caricaturali. Continuamente applaudite. Ci sono poi tutti coloro che di quelle promesse nozze sono parte in causa. Una faccendiera che la sa lunga (Ester Galazzi), il vero amore di Zanetta (Emanuele Fortunati), l’intrigante segretario del vecchio avaro (Riccardo Maranzana), suo figlio, chissà se furbo chissà se scemarello (Andrea Germani) e una cameriolina che però se lo mangia con occhi (Valentina Violo). La servitù (Alessandro Albertin) ruvida commenta. Ci sono pure “I piccoli di Podrecca”, che curiosamente “doppiano” i loro doppi umani, vestiti allo stesso modo.
Il lieto fine è prevedibile, ma a differenza di altri testi di Goldoni (“i Rusteghi, per dirne uno) è un lieto fine di facciata. I due matrimoni conclusivi mostrano la loro vera natura di contratti commerciali. E Todero, vecchio scorbutico e taccagno, rimane.
Se questo meccanismo di attori e burattini, eros (poco) e quattrini (molti), funziona, lo sapranno ancor meglio dire, tra poche settimane, gli spettatori di Trieste. Dopo le due repliche veronesi il “Todero” arriverà infatto al Rossetti il 2 ottobre per inaugurare la stagione 2024/2025 del Teatro Stabile.