TRIESTE Nelle sue aule si incontrano fisici russi e matematici ucraini confrontarsi alla lavagna sulla teoria dei buchi neri e della materia oscura, ricercatori israeliani e palestinesi analizzare immagini di stelle lontane e tentare di unificare le due teorie dell’universo. È un principio inderogabile, che a ragione l’ha eletto modello di diplomazia scientifica nel mondo: cooperare con fiducia nella scienza, tutti allo stesso livello.
Nato in un’Europa profondamente divisa, in anni in cui le coscienze collettive stavano ancora processando il trauma della guerra e della bomba nucleare e intanto l’uomo guardava alla luna come inavvicinabile, l’International Centre for Theoretical Physics di Trieste compie 60 anni.
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Sei decadi esatte, dal 1964 a oggi, in cui il centro di Miramare, tra i primi al mondo sotto la bandiera delle Nazioni Unite, si è imposto a livello internazionale quale istituzione impegnata nella ricerca ai massimi livelli nei campi della fisica e della matematica, accogliendo sulle sue lavagne le idee di oltre 180 mila scienziati da 188 nazioni e 107 premi Nobel, primo impulso alla nascita del sistema scientifico triestino. E realizzando, così, quell’intuizione forte del suo fondatore Abdus Salam, primo pachistano a ricevere il Nobel per la Fisica e pioniere di quella “science diplomacy”, quella diplomazia scientifica che riassumeva così: «Il pensiero scientifico e la sua creazione sono patrimonio comune e condiviso dell’umanità».
Il sogno, dunque, di creare un centro di alto livello in cui scienziati meritevoli provenienti dai Paesi in via di sviluppo potessero incontrarsi e rimanere in contatto con la frontiera internazionale della ricerca, senza per questo privare le loro nazioni del potenziale associato ai loro studi, ma anzi recuperando così il gap che li separava dal resto del mondo.
Un’intuizione che sottendeva quell’impostazione da Salam considerata motore della crescita economica nonché primum movens della scienza stessa, e che si incrociò con un’altra idea, altrettanto forte: quella di Paolo Budinich, fisico lussignano determinato a rompere l’isolamento scientifico in cui era confinata la comunità triestina. Altro principio dell’Ictp: fondato sulla cortina di ferro con la benedizione di Robert J. Oppenheimer, il centro doveva essere un’istituzione in cui fisici e matematici potessero collaborare pur appartenendo a due blocchi politico-sociali contrapposti.
«La ricerca fondamentale è un’esigenza essenziale per l’umanità, necessaria per preservare i valori della civiltà in tempi bui e pericolosi come quelli che stiamo attraversando», ha ricordato nei mesi scorsi il Nobel per la Fisica 2012 Serge Haroche dal palco della sede Unesco di Parigi, relatore d’eccellenza del più recente tra i tanti eventi con i quali l’Ictp sta festeggiando il 60° anniversario sotto la guida del suo direttore, Atish Dabholkar. Fino al 15 novembre, quando il centro ospiterà scienziati e diplomatici da tutto il mondo per la grande cerimonia che celebrerà i 60 anni. Un programma aperto in gennaio e che proseguirà fino a dicembre con workshop e conferenze non solo a Trieste, ma anche e soprattutto nelle sedi amiche, in Nepal, Vietnam, Kenya, Messico, dando senso alle volontà dei due fondatori: promuovere una scienza aperta e accessibile senza barriere di genere, provenienza geografica e condizione economica, e proporre Trieste quale “testa” di questa brillante missione.
L’idea condivisa di Salam e Budinich fu messa in cantiere dopo un primo incontro il 25 giugno 1960, in occasione di un simposio di fisica al Castelletto di Miramare, e divenne realtà sotto forma di ente internazionale di governance condivisa tra Aiea, Unesco e governo italiano: il centro fu inaugurato, nella sua prima sede provvisoria di piazza Oberdan, nel 1964. Intanto il mondo è cambiato da quella cerimonia di inaugurazione che 60 anni fa vide la partecipazione di alcuni tra i più grandi fisici del secolo, come Werner W. Heisenberg e Paul Dirac. Il quale diede il nome alla Medaglia Dirac istituita dall’Ictp nel 1985, divenuta tra i più prestigiosi riconoscimenti in fisica teorica, anticipando più volte il Nobel.
Molti di quelli che nel 1964 erano Paesi del Terzo Mondo sono diventati economie dinamiche e realtà scientifiche che superano quella europea e lo stesso concetto di science diplomacy della Guerra Fredda è reinterpretato in un contesto internazionale profondamente diverso. Le priorità nodali della scienza sono altre, come dimostrano i temi individuati dall’Ictp per i due simposi cardine di quest’anno: l’accesso al calcolo scientifico e la necessità di una risposta globale al cambiamento climatico, di cui di discuterà in agosto. Il mandato dell’Ictp rimane, sempre, quello di tracciare prospettive di un futuro più equo, nella convinzione che «il pensiero scientifico è patrimonio condiviso dell’umanità».—
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