BELGRADO. Le previsioni a 30 giorni dell’Rhmz, il servizio meteorologico di Belgrado, non promettono niente di buono. Temperature sempre sopra i 30 anche a settembre, dopo il caldo eccezionale di luglio e agosto, solo qualche millimetro di pioggia in un mese. Anche quelle più a lungo termine, per ottobre e novembre, suggeriscono un clima «più secco» del normale e «più caldo», un “Miholjsko ljeto”, l’equivalente dell’estate di San Martino, senza fine.
Benvenuti nei nuovi Balcani, sempre più caldi, sempre più aridi, con l’agricoltura piegata da ondate di siccità sempre più prolungate. E ora anche con decine e decine di migliaia di persone senza acqua potabile in Serbia, Romania, Bulgaria, Kosovo e oltre. Ed è proprio la grande sete uno dei nuovi problemi più acuti e gravi dell’estate nella regione. Sete che fa male in particolare in Serbia.
«Si è seccato il fiume Pek», hanno annunciato allarmati i media locali, raccontando di massicce restrizioni ai consumi nelle aree di Majdanpek, Gornji Milanovac, Sjenica, ma anche a Lucanima e Cacak, a Barajevo e a Topola. «Per ora abbiamo acqua dalle 6 alle 10 e dalle 14 alle 18», ha spiegato il direttore dell’acquedotto di Majdanpek, Slobodan Krajić, mentre in tv vanno le immagini delle cisterne dell’esercito mandate a dissetare la popolazione. «Tutti i pozzi si sono prosciugati», racconta un residente di un paesino della Vojvodina, circondato da campi di girasoli e mais bruciati dal caldo.
Ma è un po’ tutta la Serbia a essersi «seccata», annota l’organizzazione serba Pravo na vodu (Diritto all’acqua), che ha elaborato una mappa delle restrizioni alle forniture idriche dell’estate in corso. L’elenco dei paesi e delle città colpite è lunghissimo. Questo causa «scarse precipitazioni e alte temperature nell’ultimo mese e mezzo», condizioni che hanno portato al prosciugamento di «laghi, sorgenti e fiumi». È il risultato di scarsi investimenti, il 35% delle forniture si disperde, ma anche dei «cambiamenti climatici», ha ammonito l’organizzazione.
Il quadro, drammatico, non è circoscritto alla sola Serbia. In Kosovo ad esempio restrizioni sono state decise già a luglio nell’area di Peja/Pec e a Rahovec, mentre in ampie zone della Bosnia gli agricoltori stanno già contando i danni a mais, frutteti e colture orticole, messi in ginocchio dalla siccità. «La situazione è allarmante», ha denunciato Nedzad Bico, presidente dell’Associazione degli agricoltori della Federazione.
In Bulgaria intanto è stato dichiarato lo stato d’emergenza in decine di villaggi, in particolare nelle aree attorno a Gabrovo, Veliko Tarnovo, a Pleven, nella regione di Smolyan. E ci sono state anche proteste, nella regione di Svishtov, dove i residenti hanno bloccato le strade per protestare contro le restrizioni all’uso di acqua potabile, sempre più rara e preziosa. «Dobbiamo trovare soluzioni rapide, non abbiamo tempo, la gente vuole vivere normalmente e avere l’acqua», ha affermato il premier tecnico bulgaro Dimitar Glavchev, promettendo misure d’emergenza per garantire le forniture. Emergenza è il termine più adatto per descrivere la situazione, con oltre 600 cittadine e paesini senz’acqua in Bulgaria, ha raccontato la radio pubblica di Sofia.
Quadro ancora più critico in Romania, “granaio” della Ue dove il settore agricolo ha già subìto 2 miliardi di danni per la siccità, e gli allevatori – impossibilitati a dissetarlo - cercano di vendere il bestiame prima che la situazione precipiti. Centinaia i villaggi senz’acqua, pozzi, laghi e bacini artificiali prosciugati. Neppure i grandi fiumi si salvano. Il Danubio ha la portata dimezzata e il traffico fluviale fermo in ampi tratti.