TRIESTE La spedizione di Napoleone all’ombra delle piramidi si concluse con una sconfitta, ma segnò l’inizio dell’Egittomania, una moda per la quale ricchi collezionisti, commercianti e uomini d’affari non badavano a spese per procurarsi statue, obelischi e mummie. Una febbre che prese anche Trieste, e un caffè di piazza della Borsa fece il tutto esaurito per lo sbendamento di una mummia un evento-spettacolo a pagamento.
Il commercio di antichità aveva nel porto di Trieste uno degli approdi più comodi per le navi, che da Alessandria d’Egitto ci mettevano solo sei giorni di navigazione per giungere in cima all’Adriatico, e recenti ricerche condotte negli archivi del porto hanno permesso di ricostruire nel dettaglio alcuni di quei traffici. Dunque è quanto mai azzeccato il titolo scelto per la seconda serata di “Archeologia di Sera’: “Sulle rotte dell’Egittomania”.
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Martedì 13 agosto alle 20.30 al Civico Museo d’Antichità J.J. Winckelmann, (piazza della Cattedrale 1) l’egittologa Susanna Moser condurrà i visitatori a scoprire non solo la rinomatissima sezione egizia del museo, ricca di più di un migliaio di reperti della terra dei faraoni, ma anche il modo in cui si è formata, cosa che ne fa un unicum.
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«Di solito - spiega la dottoressa Moser - le collezioni egizie nascevano per l’iniziativa di un singolo collezionista che, dopo averle acquistate, sceglieva di donarle a un’istituzione. Nel museo di Trieste, invece, i pezzi si sono aggiunti nel corso del tempo quasi uno alla volta, a testimonianza dell’amore che i triestini hanno per la loro città».
Accanto a lasciti di personaggi di un certo rilievo si registrano altri provenienti da persone insospettabili, come un giardiniere triestino che al ritorno da un periodo di lavoro in Egitto donò un paio di statuine e qualche amuleto acquistati laggiù. Un altro esempio che Moser ricorda è quello che riguarda un assicuratore della Ras il quale, trovandosi al Cairo per lavoro, aveva acquisito delle ceramiche di matrice islamica durante le escursioni che faceva nei week end e aveva pensato di inviarle al museo per arricchirne le collezioni.
Siamo nell’ultimo quarto dell’Ottocento e l’idea, mossa da un orgoglio municipalistico, era quella di rendere grande l’istituzione cittadina. Accanto a questi esempi di donatori disinteressati, il commercio di antichità egizie forniva ghiotte occasioni ai furbi avventurieri come il triestino Giuseppe Passalacqua, che vendette la sua collezione alla Prussia con la clausola di essere nominato direttore del museo egizio di Berlino.
Ma torniamo a un'altra storia di come il mare abbia contribuito alla formazione della collezione triestina. Una nave inglese, che non aveva di che pagare la parcella per dei lavori effettuati al cantiere Panfilli, lasciò in pegno un sarcofago in granito. La nave, forse naufragata, non fece più ritorno a Trieste e l’ingombrante sarcofago, causa il contratto di pegno che aveva una durata di cento anni, venne sistemato nel cortile di casa della famiglia Panfilli, dove rimase fino al 1950, quando questo pezzo raro fu donato al museo.
Tutte queste donazioni fanno sì che il museo Winckelmann non abbia mai acquistato antichità egizie, avendole trovate per così dire in casa. E a tal proposito, svela sempre la dottoressa Moser, ci sono dei privati triestini che possiedono dei reperti egizi acquistati nell’Ottocento, quando ancora questo commercio era legale. L’Egittomania ha fatto nascere anche un fiorente commercio di falsi, di cui anche la collezione triestina possiede qualche esempio, come un amuleto a forma degli occhi di Horus, il dio dalle sembianze di un falco. Il programma della serata egizia sarà completato alle ore 21.30 da “B come Bel Tenor... Bronza coverta!”, canzoni & intermezzi strumentali dalle Collezioni Schmidl. ‘Archeologia di sera’ proseguirà con altri due appuntamenti, sempre all’insegna del tema scelto quest’anno, “Il Museo si racconta”, dedicato alla storia e al patrimonio del Museo d’Antichità: martedì 20 agosto “Fantastici tesori d’argilla”, a cura di Marzia Vidulli e martedì 27 agosto “Svelare il passato tra grotte e castellieri”, a cura di Costanza Brancolini. —
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