TRIESTE La Polizia penitenziaria della casa circondariale di Trieste ha inviato in Procura gli atti sulla rivolta di giovedì scorso. Un dossier corposo vista l’entità di quanto successo: danni e incendi, soprattutto. Ma anche furti, visto che l’infermeria è stata saccheggiata. L’armadio dei medicinali è stato scassinato: sono spariti psicofarmaci e metadone, di cui alcuni detenuti hanno abusato per poi sentirsi male nelle ore successive. Non a caso le ambulanze e le automediche del 118 sono intervenute varie volte il giorno dopo, venerdì, anche per casi di overdose, e fino a tarda notte.
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Possibile che durante il saccheggio sia sparita pure strumentazione sanitaria – come aghi e oggetti taglienti, ad esempio – potenzialmente pericolosa in mani sbagliate, come si può immaginare.
Andranno quindi accertate le responsabilità: chi ha innescato la protesta? Chi ha appiccato i roghi e devastato sale, corridoi e celle? Chi ha rubato? Quanti psicofarmaci e metadone sono tutt’ora nascosti dai carcerati? Il rischio è che nei prossimi giorni possano verificarsi altri malori tra le persone.
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Serviranno indagini per portare a galla tutti i dettagli dell’episodio. Non si esclude che, considerando la portata dell’accaduto, la rivolta sia stata in qualche modo organizzata e manovrata. Un’azione del genere non si improvvisa, questo è piuttosto chiaro.
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La Polizia penitenziaria manderà alla magistratura pure gli atti sulla morte del quarantottenne sloveno Zdenko Ferjancic, deceduto il giorno dopo la protesta. Ci si chiede se pure lui (era in cella per cessione di stupefacenti) può aver assunto metadone o altri farmaci in grado di provocargli un’intossicazione fatale. Sarà necessaria l’autopsia per appurarlo. I legali che difendevano il quarantottenne, gli avvocati Alice e Paolo Bevilacqua, intendono andare a fondo.
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La rivolta – che in queste dimensioni non ha precedenti a Trieste negli ultimi decenni – ha interrogato profondamente il tessuto politico e istituzionale. Comprese le Camera penali di tutto il Friuli Venezia Giulia che hanno preso posizione sui fatti di giovedì con un comunicato congiunto. «A Trieste il carcere è stato teatro di una rivolta – viene spiegato – di cui non si conoscono i particolari ma è certa la gravità. Si sono verificati forti disordini, danneggiamenti, imponente il dispiego dei mezzi di contenimento e di soccorso. La gravità delle condizioni in cui si trova la casa circondariale triestina era nota e più volte denunciata sia dai Garanti comunale e regionale sia dalla Camera penale».
Nella nota vengono citati i numeri del sovraffollamento: 150 posti, tanti ne potrebbe contenere il Coroneo (ma secondo la Garante comunale Elisabetta Burla sono 145), a fronte di una presenza di 260 persone. A ciò si aggiungono le celle prive di servizi igienici, materassi collocati per terra accanto ai wc e detenuti «devastati dai morsi delle cimici».
Nonostante le condizioni della struttura siano state ampiamente denunciate, «inalterato e anzi intensificato è stato il flusso degli ingressi, sopratutto di soggetti in misura cautelare».
«Non c’è più tempo», insistono le Camere penali di Trieste (presidente avvocato Sabina Della Putta), Gorizia (avvocato Paolo Marchiori), Pordenone (avvocato Esmeralda di Risio) e Udine (avvocato Raffaele Conte). Un allarme «che non può più essere ignorato. Le carceri italiane sono diventate una polveriera sociale, un luogo invivibile per i detenuti e tutti coloro che vi lavorano, dove la dignità dell’essere umano è annichilita e l’inaccettabile diventa normalità».
Le Camere penali ritengono «del tutto inadeguate le risposte che arrivano dalla politica». Gli organismi territoriali sono «uniti» nella battaglia mirata a dare dignità e diritti alle persone, «consapevoli che il grado di civiltà di una società si misura sempre dal trattamento riservato a chi non ha voce e a chi viene tolta ogni dignità. Basta morire in carcere».
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