foto da Quotidiani locali
TRIESTE. «Più oltre, più oltre, oltre la vita amatevi». Sono parole di Eleonora Duse, scritte a Silvio Benco e alla moglie Delia de Zuccoli. Tra la “Divina” e i coniugi Benco, infatti, intercorse una lunga amicizia che è testimoniata da un epistolario costituito da una cinquantina tra lettere, telegrammi e biglietti, conservati alla Biblioteca Civica di Trieste.
Tra i tanti epistolari della Duse noti – basti pensare a quello con Gabriele d’Annunzio – interessanti sono quelli che stanno riemergendo in questo anno in cui si celebra il centenario della scomparsa dell’attrice e che testimoniano non tanto la vita sentimentale o artistica della donna, quanto la sua vasta rete di relazioni con amici, intellettuali e persone per nulla note. E sicuramente l’epistolario con i Benco costituisce una interessante testimonianza del rapporto tra l’attrice e Trieste.
La “Divina” aveva una particolare predilezione per la città giuliana, alla quale faceva sovente ritorno, spesso riservando al pubblico triestino prime assolute o comunque spettacoli destinati solo a poche città nelle quali l’attrice sapeva di trovare una platea preparata.
Ma l’affetto che la Duse riservava a Trieste era dovuto anche al forte clima patriottico che si respirava in città e che lei, patriota convinta, sapeva apprezzare profondamente. Non è un caso che in una lettera a Delia, trascrivesse le parole della «nostra canzone di guerra», La bandiera tricolore, una delle melodie che accompagnarono i moti del 1848. E altrettanto patriottica è la cartolina che ritrae il panorama di Asolo sullo sfondo del Monte Grappa, o le parole rivolte all’amica «Delia mia cara, grazie di tutto! Grazie di vivere e grazie d’essere di Trieste nostra».
Tornare a Trieste significava per la Duse sentirsi a casa: «Ieri, all’alba, ho riavuto questo mare – memore di tante fortune» scriveva a Silvio Benco nel 1905; ma voleva anche dire rivedere numerosi altri amici, prima fra tutti Luisa Cargnel, la vedova di Scipio Slataper, alla quale non mancava mai di fare visita: «Cara, tante cose! – scriveva a Delia– E Luisa Slataper che vorrei scovare. E Giorgina Monti che vorrei ringraziare e rinfrancare».
Il rapporto con i Benco era diverso: più intima e affettuosa nelle lettere indirizzate a Delia, ove si firmava “Eleonora”; più ufficiale con Silvio, verso il quale dimostrava grande ammirazione e al quale, firmandosi solitamente “E. Duse”, non esitava a chiedere consigli: «Ho molte cose a chiederle. La prego essere domani alle 5 al mio hotel». Altrove, rivolgendosi a Silvio, scriveva: «Se fossi vicino a Lei quanta luce e conforto troverei. Quante volte ho sentito la mancanza di questa luce! Solo le dico che a Lei penso, sovente, con tenerezza infinita, perché non è solo Silvio Benco che amo in lei, ma l’anima bella, lontana, su tutti noi». Ancora, in un telegramma, «Come potrebbe Lei vivere senza Trieste e come potrebbe Trieste rivivere senza di Lei?».
Nel 1905, dopo molti indugi e dopo aver rifiutato la richiesta di altre città, la Duse decise di debuttare a Trieste il ruolo di Rebecca West in Rosmersholm di Ibsen. In quei giorni si era sparsa la voce che il grande drammaturgo stava morendo e la Duse scrisse a Benco una lettera con cui lo pregava di tenere, prima della rappresentazione, un discorso: «Le mando queste parole perché m’han detto che forse domani sera Silvio Benco parlerà per H. Ibsen. Se l’ora della “liberazione” per H. Ibsen è arrivata, se forse al momento che ci parliamo egli è partito, nessuno saprà dire di lui come Silvio Benco dirà». L’intellettuale accontentò la richiesta della “Divina”, tenendo un memorabile discorso che venne pubblicato, il giorno successivo, sul “Piccolo”.
Le ultime lettere testimoniano il progressivo declino fisico dell’attrice. Scriveva a Delia: «Ho voluto risparmiarti una inutile tristezza nel non dirti in che stato sono, di salute… Non ho che un solo desiderio – la fine – tanto son stanca, e le cose, intorno, nemiche, o indifferenti! Ahimè!».
Il 27 aprile 1923 ribadiva «Cara Delia, non posso raccontarti questa lunga malattia… È da gennaio che non posso lavorare!... Sovente ho pensato a te, ma i pensieri o meditazioni nella odiosa stanza d’hotel, non sono afferrabili. Son stata tanto male. Se puoi, scrivimi. Se puoi, fai una corsa».
Il 10 ottobre 1923 la Duse si imbarcava per il Nord America per una lunga tournée che toccò tutte le più grandi città. Una tournée faticosa ed estenuante per un fisico già gravemente debilitato. L’ultima lettera scritta a Delia, il 29 agosto, è quasi profetica: «Delia cara, non posso raccontarti come si sono svolte le cose. Ma le cose si sono svolte, da sé, e, ora, bisogna obbedire. “Obbedisco” e parto per New York al 10 ottobre… Non posso scriverti di più. Ma tu sai quanto voglio bene a te e a Silvio Benco… Amatevi, e ricordatevi di me, seppur lontana, vi ho sempre voluto bene, con vera fede». Da quella tournée, la “Divina” Eleonora non fece ritorno: colpita da una polmonite fulminante, morì in una squallida stanza d’albergo a Pittsburgh, il 21 aprile 1924.
