SKOPJE. Ottime notizie per Ucraina e Moldova, sempre più in corsa per l’adesione alla Ue dopo l’avvio, ieri, dei relativi negoziati. Allo stesso tempo, novità potenzialmente assai brutte per i Balcani, dove – oltre a quello della Bosnia, indebolita dalle tensioni interne, e al nodo irrisolto del Kosovo – un nuovo fronte di tensione rischia di tarpare le ali, per quanto riguarda la corsa verso la Ue, in particolare a una nazione. È la Macedonia del Nord, ormai entrata nel mirino della vicina Grecia per quelle che Atene considera continue violazioni di un accordo che si pensava essere storico e definitivo, il trattato di Prespa. Prespa, ricordiamo, che portò Skopje e Atene a chiudere una ultradecennale contesa sul nome “Macedonia”, considerato dai greci un furto della propria storia e identità nazionale, soluzione trovata con l’aggiunta alla denominazione classica della specificazione “del Nord”. Convergenza che ha spianato la strada alla corsa dell’ex repubblica jugoslava verso l’integrazione euro-atlantica.
Ma Prespa sembra sempre più fragile. È l’effetto della salita al potere dei nazionalisti conservatori del Vmro-Dpmne e del nuovo governo, guidato dal premier Hristijan Mickoski. E proprio il passaggio del voto di fiducia è stato il detonatore della nuova tensione. Mickoski, infatti, ha ripetutamente usato il termine «Macedonia» durante i suoi interventi in Parlamento, evitando scrupolosamente di aggiungere «del Nord» come richiesto dagli accordi di Prespa, visti come il fumo negli occhi dal Vmro-Dpmne. «Finché vivrò, sia politicamente sia come persona, farò di tutto per correggere l’ingiustizia» del cambio del nome, ha poi promesso. Infine, la «capitolazione» obbligata, al momento del giuramento, pronunciando infine «Macedonia del Nord». Si tratta tuttavia di una definizione «infame, che ricorda la vergogna che avete fatto cadere sul mio Paese, sulla mia famiglia, sui miei nipoti ancora non nati e su chi verrà dopo di loro», ha attaccato Mickoski, riferendosi a chi – la precedente classe politica riformista e pro-Ue – ha accettato di modificare la denominazione dell’ex repubblica jugoslava. Ma Mickoski è andato oltre, attaccando anche la Bulgaria, colpevole di aver messo i bastoni tra le ruote al percorso Ue di Skopje, chiedendo protezione costituzionale per la minoranza bulgara. «Il diktat bulgaro non passerà in alcuna circostanza finché sarò primo ministro e non ci saranno modifiche alla Costituzione» per soddisfare i desiderata di Sofia, ha minacciato il neo-primo ministro.
E mentre a Sofia, scossa dall’ennesima crisi politica post-elettorale, senza un governo al potere, è rimasta finora silente, Atene non ha tardato a rispondere. E ha avvertito tra le righe che la Grecia è prontissima a congelare ogni aspirazione di Skopje a proseguire nel suo cammino verso la Ue. «La leadership politica della Macedonia del Nord ha scelto, sistematicamente e persistentemente, di non utilizzare il nome costituzionale del Paese nel discorso pubblico interno» e ciò «costituisce una flagrante violazione dell’accordo di Prespa, che prevede l’uso uniforme del nome unico “Macedonia del Nord” a livello nazionale e internazionale», ha dichiarato in una nota il ministro degli Esteri greco George Gerapetritis, mentre la Ue ha fatto sapere ieri di essere «rammaricata» per le posizioni oltranzistiche di Skopje, invitando al «rispetto degli accordi». E tutto indica che il “terzo fronte” balcanico si sia ormai completamente attivato. —
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