MONFALCONE Prima delle ordinanze dirigenziali, prima del contenzioso al Tar e di rimbalzo al Consiglio di Stato, prima del maxi corteo dell’antivigilia di Natale, dei talk tv e dei saggi autobiografici, il problema, forse, non se l’erano posto in molti. È per questo che quando l’altro giorno la Camera dei deputati ha dato il via libera al progetto di legge che fissa restrizioni sulle moschee sorte in luoghi reputati “non idonei”, a firma del capogruppo di Fratelli d’Italia Tommaso Foti, un atto in modifica all’articolo 71 del Codice del terzo settore, tutti hanno pensato a Monfalcone. E Anna Cisint, sindaca e candidata alle Europee, più che pensarci ha proprio rivendicato l’esito. «Il provvedimento “anti moschee” approvato dalla Camera – sottolinea – rappresenta un risultato rilevante nella battaglia che sto portando avanti per la legalità sui centri islamici e fa chiarezza in merito ad alcune delle polemiche verso i provvedimenti adottati dal Comune circa le modalità di utilizzo delle strutture come luoghi di preghiera».
La proposta introduce limitazioni sulle sedi di associazioni di promozione sociale adibite a luoghi di culto (trasformazione in moschee compresa): ora passerà all’esame del Senato. Alla Camera la votazione ha incassato 135 sì, 112 contrari e 5 astenuti. Precisamente la proposta di FdI esclude l’utilizzo di quei locali associativi come ambienti di culto per tutte le confessioni religiose che non abbiano stipulato accordi con lo Stato italiano. Di fatto una cesura verso le moschee.
E a Monfalcone, luogo-simbolo della battaglia dei centri culturali islamici, le reazioni sono durissime: «Un atto vergognoso. Non si può escludere una comunità pacifica dal diritto di pregare, peraltro sancito dalla Costituzione», afferma il consigliere comunale del Partito democratico Kamrul Hasan Bhuiyan Sani, di radici bengalesi e appartenente alla più folta comunità straniera di una città dove uno su tre non è italiano. «Invece di trovare soluzioni, si creano ostacoli – aggiunge –. Se il provvedimento passerà al Senato, per le persone musulmane pregare diventerà una pratica irregolare e allora la dovranno svolgere abusivamente? Solo qui a Monfalcone ci sono 7-8 mila persone che professano tale fede: se il progetto diventa legge, come faranno? In Italia ci sono 1.300-1.400 centri culturali come i due insediati in via Duca d’Aosta e don Fanin e solo sei moschee. Come si pensa di gestire il diritto al culto alla luce del fatto che in questo Paese c’è almeno un milione di musulmani?». «Sarà il caos», conclude Sani.
Il pensiero di Jangir Sarkar, un altro consigliere bengalese a Monfalcone, ma di area centrodestra, eletto sempre nel 2022 e ora nel gruppo Misto, non si discosta poi molto, al di là delle differenti posizioni politiche, sulla questione: «Io penso che il problema della preghiera debba essere risolto, perché la gente ha bisogno di ritrovarsi in un luogo di culto, nell’osservanza delle leggi e della sicurezza, si capisce. Rispetto quello che delibera il Parlamento, ma al netto del provvedimento sarà necessario trovare soluzioni alternative per dare il diritto di professare la fede in ogni città d’Italia».
Reazioni anche dai centri culturali islamici. Non dal Darus di via Duca d’Aosta che stasera aprirà le porte alla cittadinanza, per promuovere esempi di inclusività assieme ai parroci cattolici: Bou Konate non risponde al telefono. Parla invece Rejaul Haq, presidente dal Baitus Salat di via don Fanin: «Non è ancora legge definitiva, perché si deve pronunciare il Senato, ma io penso questo: se l’Italia è un Paese di diritto allora noi otterremo i nostri, altrimenti è inutile parlare». «Resta il fatto – termina Haq – che l’esercizio del culto è costituzionalmente garantito». Sotteso: conterà qualcosa?