TRIESTE Da qualche giorno varcano l’ingresso del carcere di buon’ora. Scarpe da basket, tuta, idee, pazienza e disponibilità. Un cortile che presto si riempirà con una squadra.
Una formazione fatta di giocatori che ancora non si conoscono, si stanno aggiungendo alla spicciolata. Storie, Paesi, età diverse. Un solo filo comune. Destinati a condividere un ritiro che non è un saltuario raduno pre-partita. Durerà mesi, per qualcuno anni.
Ogni giorno Stefano Attruia e Federica Zudetich entrano al Coroneo. Un ex campione che ha vinto una Korac con Roma, ha giocato anche per il Real Madrid e la Virtus Bologna e ha vestito l’azzurro. Una ex giocatrice di ottimo livello. Triestini. Perchè questa è una storia che racconta l’Italia ma ha l’anima a Trieste.
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IL DOCU-MOVIE I “Cagers”, gli uomini in gabbia, sono stati reclutati in un paio di mesi di incontri in case circondariali, dal Sud al Nord. Con Attruia e Zudetich un altro bel nome del basket, Donato Avenia, ex Roma e Reggio Calabria, tre volte Nazionale, che li raggiungerà oggi. Nel team, per curare la preparazione, Caterina Todeschini. Il progetto ha l’appoggio del Ministero di Giustizia e del Ministero Sport e giovani. Diverrà un docu-movie. Una testimonianza con storie che vogliono essere di riscatto e dignità.
LO SPUNTO Una visita al Coroneo, qualche anno fa. Un’iniziativa di quelle che portano sportivi o altri personaggi a raccontarsi a chi è dentro. Attruia percorre i corridoi e sente chiamarsi. «Stefano». Si gira e vede tra i detenuti un suo ex compagno di squadra ai tempi delle giovanili. Un incontro che non potrà dimenticare. «Ho riflettuto su cosa significa quel muro. Come viene vissuto dalla parte di chi attraversa distratto via Coroneo e da chi è costretto a spendervi, dietro, anni di vita. Ho sentito di dover fare qualcosa». Quel “qualcosa” ha maturato un’idea e lo ha portato nelle ultime settimane a visitare diverse carceri italiane. Ad ascoltare storie, in qualche caso le speranze stroncate di chi ragazzino sognava solamente di giocare, un giorno, a basket. «Non abbiamo fatto un reclutamento di presunti campioni. Nessun provino, per come li si immagini. Abbiamo incontrato persone. E abbiamo voluto ascoltarle. Italiani, stranieri. Non ci siamo imposti orari nè scadenze. Abbiamo viaggiato per conoscere, con la mente aperta, capire e alla fine decidere chi coinvolgere nel nostro progetto». Una squadra, quella dei Cagers, che non parteciperà a nessun campionato e probabilmente non vedrà altro campo che il cortile riadattato del Coroneo. La prima palla a due della prima sfida tra i componenti della squadra sarà la vittoria.
IL LAVORO «In un cortile vuoto vicino all’ingresso del Coroneo è stato ricavato uno spazio adatto. Come lunghezza ci siamo. Un campo di basket. Attualmente sono sette i detenuti che stanno partecipando al progetto, altri sono in arrivo ma ovviamente le date delle traduzioni non vengono comunicate in anticipo, comunque entro fine mese saremo sicuramente al completo. Si rivela fondamentale naturalmente la collaborazione da parte dell’amministrazione del carcere e della polizia penitenziaria, non finiremo mai di ringraziarli. Ogni giorno entriamo al Coroneo rimanendoci per due ore e mezza al mattino e un paio d’ore anche al pomeriggio. Anche il 31 dicembre siamo venuti qui». «In questa prima fase stiamo svolgendo un lavoro propedeutico a livello fisico. Stiamo unendo persone di diverse età, costituzione, stato di forma. C’è una disomogeneità e cerchiamo di riportarli tutti sullo stesso piano per poter cominciare i veri allenamenti. Si fa ginnastica, si chiacchiera. Vogliamo relazionarci con loro, coinvolgerli in questo sogno. Quando tutti avranno raggiunto il Coroneo presenteremo la squadra, si aprirà una nuova fase. Il vero inizio». Allenatore nelle giovanili di Futurosa, consulente di formazione personale e professionale in istituti e aziende. Attruia, come riesce a conciliare queste attività? «Per quanto possibile cerco di continuare con i progetti già avviati, come nel caso della collaborazione con Futurosa. In fondo nel progetto al Coroneo continuo a svolgere lo stesso lavoro di sempre: un po’ mental coach, un po’ coach di basket. Fa parte dello stesso percorso». — © RIPRODUZIONE RISERVATA
