I Warriors arrancano alla decima posizione della Western Conference. Molto probabile che abbiano bisogno di ricostruire sul serio. L’innesto di Dennis Schröder è un palliativo, non può essere la soluzione. In questo marasma, Steph Curry non si perde d’animo. E alla veneranda età di 36 anni, il figlio di Dell, è ancora il miglior tiratore della lega. Non tanto per le percentuali (che in ogni caso superano il 40% dal perimetro), quanto per il modo in cui utilizza il tiro da fuori come arma convenzionale. Come un tiro cadendo all’indietro o uno euro-step. Altro record personale marcato a fuoco sulla sua maglia numero 30, questa notte. Nella vittoria sui Sixers, Curry ha segnato 30 punti con 8 su 8 da tre. Non ha mai sbagliato. Micidiale sia dal palleggio, sia quando servito sul perimetro piedi per terra. Non fa mai distinzione di sorta ormai. Se finta e si mette in ritmo col passo laterale, vederlo sbagliare è come trovare un quadrifoglio ai giardinetti. Per lui, altra stagione di alto livello, con 22 punti di media e il 92,3% ai liberi. Praticamente, quando va in lunetta potrebbe segnare anche bendato.
Ma Steph Curry non va mai banalizzato come “semplice” tiratore. Molti avversari hanno subito danni enormi, durante i suoi ormai sedici anni di carriera, impostando le difese solo su questo concetto. Qualitativamente, Curry ha una visione di gioco degna di gente illuminata come Jason Kidd o Chris Paul. Inoltre, è un palleggiatore eccellente in tutte le situazioni di gioco. Un fondamentale, questo, che gli permette di andare in penetrazione anche a difesa schierata, trovando il ferro con una capacità innata di usare alla perfezione gli angoli del tabellone. Futuro All of Famer? Scontato. Verrà ricordato come uno dei migliori di sempre. Come Jordan, come Shaq, come Duncan.
Dinastie? No, grazie – La NBA è cambiata per l’utilizzo spinto della conclusione da tre. Ma è cambiata anche perché è molto più difficile, rispetto al passato, creare una vera e propria dinastia? Negli anni ’90, Patrick Ewing aveva la maglia dei New York Knicks incollata sulla pelle. Così anche Hakeem Olajuwon, Michael Jordan, John Stockton, Karl Malone, James Worthy o Joe Dumars. Per alcuni, in concreto, anche a discapito della possibilità di vincere un Titolo. Lo stesso Barkley, in sedici anni di carriera, cambiò solo tre maglie. E tutte motivatamente. Andò via dai Suns (declinanti…) verso i Rockets perché, agli sgoccioli di carriera, non voleva perdere altro tempo per inseguire un anello che un giocatore del suo status avrebbe meritato. E così si potevano creare quelle “storie” che tanto appassionavano i fan. Riuscirà Ewing a riportare i Knicks sul tetto del mondo, dopo l’ultima vittoria del campionato nel lontano 1970? James Worthy riporterà in alto i Lakers dopo l’addio di Magic Johnson? Raramente i giocatori dichiaravano pubblicamente di voler essere ceduti. Oggi, invece, Jimmy Butler si sveglia e chiede di andare via da Miami al suo quinto anno. Il tutto dopo aver fatto due Finali e quando comunque la squadra è sesta a Est. Un fulmine a ciel sereno? Simile, in passato, anche la dipartita di Kevin Durant. Lasciò ancora giovane (28 anni) i Thunder, che avevano appena fatto una finale di conference a Ovest. OKC aveva tutte le carte in regola per poter arrivare fino in fondo, se Durant fosse rimasto. Anche un giocatore leggendario come Chris Paul, per dire, ha cambiato ben sette maglie finora. È qualcosa su cui riflettere. Senza giudizi di sorta. Ma bisogna capire.
Donovan Mitchell, giocatore esplosivo – Forse troppo presto etichettato come “realizzatore senz’anima”? Uno in grado di mettere punti a referto, ma di incidere poco sui successi della propria squadra? In questa stagione, Mitchell sta regolando un po’ di conti. Intanto, i Cleveland Cavs sono primi a Est. Non poco. Ormai si può affermare con ragionevole certezza che non si tratti di un fuoco di paglia. La coesistenza nel back-court con Garland, altro giocatore che ama tenere tra le mani la sfera, sembra stia continuando a funzionare. Non era scontato. E Mitchell rimane la prima opzioni offensiva della sorpresa della stagione. Realizzatore spaziale, capace di segnarne anche 71 in una partita (lo scorso anno contro i Bulls). Se ispirato, non smette mai di fare canestro. A suo agio quando può attaccare il canestro in palleggio, dove sfrutta grandi capacità atletiche, buon controllo del corpo e un euro-step molto reattivo. Nella stagione in corso, l’ex Utah è diventato anche un tiratore da fuori davvero temibile. Per lui, al momento, 41,5% da tre (record in carriera) e una grande abilità nel farsi trovare pronto sul perimetro anche quando a creare gioco non è lui direttamente. La chiave. In più, visto più volte esibirsi in precisi penetra-e-scarica, attirando su di sé le difese e servendo i compagni con ottimo timing. Molto bene.
That’s all Folks!
Alla prossima settimana.
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