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L’informazione silenziata nel sangue: le storie dei cronisti uccisi nel 2024. Rsf: “Palestinese uno su tre. Nella Striscia giornalismo a rischio estinzione”

Inseguiti dai droni. Uccisi mentre indossavano la pettorina Press e il casco. Colpiti nella propria auto, a casa con la propria famiglia o mentre erano impegnati a riprendere manifestazioni. Accusati di terrorismo senza prove e assassinati senza possibilità di un processo. Accoltellati in strada o vittime di sparatorie. Rapiti, feriti, scomparsi o arrestati. È anche una guerra contro i giornalisti e contro il giornalismo quella consumata quest’anno nei principali teatri di conflitti, e in Messico, Pakistan e Bangladesh. Il prezzo più alto lo hanno pagato reporter, videomaker e fotografi palestinesi nella Striscia di Gaza. Sono loro i più presenti nella lista delle vittime. Un “massacro senza precedenti” lo definisce Reporter senza frontiere (Rsf), che i numeri raccontano solo in parte.

I casi in Medio oriente – Il conteggio non si ferma mai, va aggiornato un giorno dopo l’altro. Basti pensare che a metà dicembre, dopo la diffusione dei report annuali delle organizzazioni, nella Striscia di Gaza sono stati ammazzati 5 operatori dell’informazione in meno di una settimana. Poi altri 5 in un giorno solo, a Santo Stefano, colpiti da un missile israeliano. Tra le tante vittime di questo mese c’è Mohammed Baalousha: aveva 38 anni e lavorava per il canale con sede a Dubai Al-Mashhad. Un anno fa era già stato ferito a una gamba da un cecchino israeliano. Aveva raccontato la notizia dei bambini prematuri in decomposizione nell’ospedale di Al-Nasr. L’ultima immagine da vivo lo ritrae in piedi, con le ossa della gamba fratturate, il casco e il gilet Press, mentre registra un video con uno smartphone sistemato su un cavalletto circondato dalla devastazione. È stato ucciso da un drone nel quartiere di Sheikh Radwan mentre tornava da una visita medica. Negli stessi giorni, nel campo di Nuseirat, nel centro della Striscia, è stato ucciso anche il 39enne cameraman di Al Jazeera Ahmed Al-Louh. L’emittente parla di un “attacco mirato” al giornalista che in quel momento era riconoscibile come reporter. Israele ha replicato accusando al-Louh di terrorismo, senza però fornire alcuna prova a sostegno di questa tesi. Nemmeno una settimana dopo, il 19 dicembre, due giornalisti turchi sono stati uccisi nel nord della Siria, vicino alla città di Aleppo. I due reporter, Nazim Dastan e Cihan Bilgin stavano coprendo i combattimenti fra le milizie curde e quelle filo-turche a est di Aleppo. La loro auto è stata colpita da un’esplosione. L’ultima strage, come detto, a Santo Stefano, quando cinque giornalisti della tv palestinese Al-Quds Today, legata al movimento della Jihad islamica, sono stati uccisi da un raid israeliano sulla Striscia: si trovavano a bordo di un furgone parcheggiato di fronte all’ospedale Al-Awda, nel campo profughi di Nuseirat. Anche loro, secondo Tel Aviv, erano una cellula terroristica.

A Gaza vittime due volte – Se si escludono i pochi reporter embedded, entrati per poche ore a seguito dell’esercito israeliano, nella Striscia di Gaza non possono accedere media stranieri. Gli unici che possono documentare e raccontare il punto di vista della popolazione palestinese fuori dalle maglie dei militari sono i cronisti, i fotografi e cameraman che vivono nella Striscia. E loro sono vittime due volte. Lavorano ogni giorno in condizioni disperate. Sono sfollati, vivono in tende, con poco cibo e nella costante difficoltà, come tutti, di reperire acqua potabile e qualsiasi altro tipo di bene essenziale. Si muovono tra macerie e distruzione con attrezzature danneggiate o obsolete. Il giubbino di riconoscimento Press e il caschetto non garantiscono loro alcuna sicurezza, anzi. Rischiano la vita ogni minuto. Si trovano spesso sotto il tiro di cecchini, diventano i bersagli di droni e attacchi israeliani. Gran parte di loro ha perso parenti e amici nei bombardamenti, altri hanno dovuto abbandonare i propri cari al sud per garantire la copertura mediatica della zona settentrionale sotto assedio. Documentano la disperazione degli altri mentre devono fare i conti con la propria. Ci sono poi quelli che, stremati dopo mesi di lavoro in queste condizioni, hanno scelto di mettersi in salvo scappando in Egitto, in Qatar o in Turchia. Gaza, dice Rsf, “è un luogo in cui il giornalismo stesso è minacciato di estinzione”. L’organizzazione ha presentato quattro denunce alla Corte penale internazionale per “crimini di guerra commessi dall’Esercito israeliano contro i giornalisti”.

America Latina e Asia – Prima del 7 ottobre 2023, era l’America Latina una delle regioni più pericolose al mondo per chi si occupa di informazione. Quest’anno secondo la Federazione internazionale dei giornalisti ci sono stati 6 morti, cinque messicani e un colombiano. “Le minacce, le intimidazioni, i rapimenti e gli omicidi – si legge nel report – sono dovuti a segnalazioni di traffico di droga, che affligge il Messico da oltre due decenni”. Tra le storie raccolte (QUI L’ELENCO COMPLETO) c’è quella di Víctor Alfonso Culebro Morales, direttore del fondatore e direttore del sito di notizie Realidades. Il suo corpo è stato trovato con le mani legate e gli occhi bendati lungo un’autostrada nel Chiapas, in Messico. Roberto Carlos Figueroa invece è stato sequestrato nello stato di Morelos mentre portava le sue figlie a scuola, e poi ucciso nonostante il pagamento del riscatto da parte della sua famiglia. Era titolare di una rubrica in cui non risparmiava critiche e commenti satirici nei confronti della politica. Un’impennata di omicidi inoltre è stata registrata nell’Asia meridionale dove, secondo la Federazione, sono 20 i morti tra i giornalisti, quasi il doppio rispetto al 2023. Ci sono stati 6 omicidi in Pakistan, 5 in Bangladesh. Qui, in particolare, i reporter sono stati presi di mira durante le proteste degli studenti che a luglio hanno portato il Paese nel caos. Hasan Mehedi, giornalista del Dhaka Times, è morto per un colpo di arma da fuoco alla testa mentre copriva le proteste nella capitale.

I report – I dati diffusi da Rsf nel documento Round-up, dove vengono presi in considerazione i giornalisti uccisi mentre lavoravano o a causa del proprio mestiere fino al 1 dicembre, parlano di 54 vittime in totale nel 2024, di cui il 30% nella Striscia di Gaza. “Dall’inizio della guerra, nell’ottobre 2023, l’esercito israeliano ha ucciso 145 giornalisti, almeno 35 lavoravano al momento della morte”. La Palestina, dice Rsf, è “il luogo più pericoloso per i cronisti in quanto ha registrato un numero di morti più alto di qualsiasi altro Paese negli ultimi 5 anni”. Peggiore il quadro descritto dalla Federazione internazionale dei giornalisti, che invece conteggia tutti gli operatori dei media ammazzati. Secondo il report annuale, al 10 dicembre erano 104 le vittime tra gli operatori di tutto il mondo, e più della metà lavorava nella Striscia di Gaza. “Uno degli anni peggiori” ha detto Anthony Bellanger, segretario generale dell’organizzazione. “È estremamente raro – ha commentato – avere un tasso così alto di vittime di una sola nazionalità”. Da quando sono iniziati i bombardamenti sulla Striscia di Gaza la Federazione non ha mai smesso di chiedere un cessate il fuoco duraturo e corridoi umanitari per consentire anche ai giornalisti stranieri di entrare nell’enclave. “Tutto invano”.

In carcere – Sono inoltre 550 i reporter imprigionati, il 7% in più dell’anno scorso, sempre secondo le stime di Rsf. E anche qui un record negativo spetta a Israele con un +17%. Il Paese viene definito “la terza prigione per giornalisti più grande al mondo”, quello “che ha rinchiuso il maggior numero di giornalisti dall’inizio della guerra a Gaza, nell’ottobre 2023”. Nelle carceri israeliane sono in tutto 41 i reporter detenuti. In cima alla classifica c’è la Cina, dove 124 giornalisti si trovano dietro le sbarre. Subito dopo il Myanmar con 61 e la Bielorussia con 40. In totale questi 4 Paesi “detengono quasi la metà dei giornalisti rinchiusi nel mondo”.

L’appello – “I giornalisti non muoiono, vengono uccisi. Non sono in prigione, i regimi li rinchiudono. Non scompaiono, vengono rapiti”. Sono le parole che Thibaut Bruttin, direttore generale di Rsf, ha usato per commentare il report, sottolineando come l’alto numero di uccisioni e aggressioni metta a rischio la libertà di informazione e la democrazia. “Questi crimini, spesso orchestrati da governi e gruppi armati con totale impunità, violano il diritto internazionale e troppo spesso restano impuniti. Dobbiamo far muovere le cose, ricordare a noi stessi come cittadini che i giornalisti stanno morendo per noi, tenerci informati. Dobbiamo continuare a contare, nominare, condannare, indagare e garantire che giustizia sia fatta. Il fatalismo non dovrebbe mai vincere. Proteggere coloro che ci informano significa proteggere la verità”.

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