Una risposta al lancio di droni dei giorni scorsi da Seul, che rappresenta un ulteriore segnale della persistente tensione all’interno della penisola coreana. Pyongyang, secondo i militari della Corea del Sud, ha fatto saltare in aria – intorno a mezzogiorno locale (le 5 in Italia) – le parti settentrionali della rete stradale che collegano i due Paesi, in particolare i tracciati lungo le linee Gyeongui e Donghae, a ridosso della Linea militare di demarcazione. Di riflesso, le forze armate del Sud hanno riferito che erano impegnate a “rafforzare la prontezza” di risposta agli scenari più diversi, aumentando la sorveglianza sulle attività militari al di sopra del 38/esimo parallelo. Ed è dalla Cina che arriva il monito più pesante ai due Paesi: Pechino intima infatti a entrambi di evitare “un’ulteriore escalation”, perché “le tensioni” attuali nella penisola coreana “non servono gli interessi comuni di tutte le parti e la priorità è evitare un’ulteriore escalation dei conflitti”, ha dichiarato la portavoce del ministero degli Esteri cinese Mao Ning in un briefing. “La posizione della Cina sul mantenimento della pace e della stabilità nella penisola e sulla promozione di una soluzione politica rimane invariata”, ha sottolineato Mao, esprimendo l’auspicio che “tutte le parti compiano sforzi congiunti per raggiungere questo obiettivo”.
La disputa sui droni – Nonostante gli sforzi ufficiali per evitare le tensioni, gli attivisti sudcoreani hanno ripreso il lancio di palloncini aerostatici con volantini di propaganda anti-Kim e altro materiale, tra cui chiavette Usb con canzoni K-pop e fiction televisive sudcoreane, provocando le forti proteste del Nord. In risposta, Pyongyang ha iniziato da maggio a lanciare palloni aerostatici verso la Corea del Sud carichi di rifiuti e letame, a testimoniare il crollo delle relazioni intercoreane. I droni provenienti da Seul hanno raggiunto lo stato eremita per tre volte a ottobre – il 3, il 9 e il 10 -, motivo per cui Kim Jong-un ha convocato un vertice di alto livello sulla sicurezza nazionale per esaminare e dirigere un piano di “azione militare immediata” indicando “importanti compiti da assolvere nell’operazione di deterrenza bellica e nell’esercizio del diritto all’autodifesa”. L’esercito di Seul ha inizialmente negato gli addebiti della Corea del Nord, ma in seguito ha rifiutato di confermare se avesse inviato dei droni oltre il confine. Mosca intanto è intervenuta sul caso, invitando le autorità della Corea del Sud a “smettere di aggravare la situazione nella penisola con la loro sconsiderata campagna provocatoria”. “Tali azioni da parte di Seul non possono essere considerate altro che una grave violazione della sovranità della Repubblica popolare di Corea”, ha affermato la portavoce del ministero degli Esteri di Mosca, Maria Zakharova, in una dichiarazione postata sul suo canale Telegram. “Garantire la pace e la stabilità a lungo termine nella regione – afferma ancora la portavoce – è possibile solo attraverso mezzi politici e diplomatici basati sul principio della sicurezza indivisibile. Non esiste un percorso alternativo, a meno che l’aggressione militare non sia il vero obiettivo della Corea del Sud e del suo alleato senior, gli Stati Uniti”. Mosca, afferma ancora Zakharova, “continuerà a svolgere un ruolo costruttivo nella penisola coreana nell’interesse di prevenire sviluppi pericolosi e riportare la situazione in una direzione positiva”. Le voci circolate a Seul, quanto ai droni, si sono concentrate sui gruppi di attivisti nel Paese che da tempo inviano propaganda anti-Kim verso nord, in genere tramite palloni aerostatici. I media locali, infatti, hanno riferito che azioni simili di contro-propaganda sono state fatte in passato. A differenza dei droni di tipo convenzionale realizzati in metallo, i dispositivi utilizzati erano costruiti in polipropilene espanso, simile al polistirolo, il che consentiva di sfuggire ai controlli delle autorità di Nord e Sud.
L’avvertimento di Kim Yo-jong – Il caso dei droni ha riportato la potente sorella del leader nordcoreano Kim Jong-un sotto i riflettori, con l’avvertimento a Seul di un “terribile disastro” nel caso in cui i droni teleguidati raggiungessero di nuovo Pyongyang. Figlia più giovane di Kim Jong Il al potere dal 1994 al 2011, Kim Yo-jong è un’esponente politica e diplomatica di alto rango. Ufficialmente vice direttore di dipartimento del Comitato centrale del Partito dei lavoratori, nel 2021 è stata promossa al massimo organo decisionale, la Commissione per gli Affari di Stato, guidata dal fratello, del quale è consigliere chiave. Secondo gli osservatori, è l’unica persona di cui Kim si fidi. Nel 2020 è stata descritta dall’intelligence sudcoreana come “la seconda al comando de facto” in Corea del Nord e responsabile delle relazioni con Seul e Washington. Non si conosce con certezza la sua data di nascita. Secondo i sudcoreani sarebbe nata nel 1988 a Pyongyang. Né si hanno notizie certe sulla sua vita privata in un Paese eremita dove il mistero è da sempre parte del culto della personalità. Qualcuno dice si sia sposata nel 2015 con Choe Ryong Hae, funzionario di spicco. Stando al governo di Seul, avrebbe un posto ufficiale nel governo nordcoreano dal 2014. Negli anni si è guadagnata una reputazione temibile. Spesso presente agli eventi ufficiali, è finita sotto i riflettori internazionali quando nel 2018, già responsabile della propaganda, è stata il volto della Corea del Nord alle Olimpiadi invernali ospitate in Corea del Sud. Era seduta accanto all’allora vice presidente, Mike Pence. Sempre quell’anno era poi stata a Singapore all’epoca dell’incontro tra il fratello e l’allora presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che lavora per il ritorno alla Casa Bianca. Nel 2023 era in Russia con Kim Jong Un.
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