Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro sono stati condannati a 8 mesi a Brescia nel processo in cui rispondono di rifiuto di atti d’ufficio per non aver depositato, questa l’ipotesi dell’accusa, atti favorevoli alle difese nel processo Eni/Shell-Nigeria che si è concluso con l’assoluzione di tutti gli imputati. L’ex procuratore aggiunto a capo del pool reati internazionali della Procura di Milano, e il pm che ora è sostituto alla Procura europea Eppo sono stati condannati dal collegio composto da Roberto Spanò (presidente), Wilma Pagano e Paola Giordano.
In mattinata l’avvocato Massimo Dinoia aveva depositato un’ultima memoria difensiva di 14 pagine a cui i pm Francesco Milanesi, Donato Greco e il procuratore Francesco Prete e la parte civile dell’ex console onorario in Nigeria, Gianfranco Falcioni, assistito dal legale Pasquale Annicchiarico, non hanno replicato. All’udienza del 17 settembre i pubblici ministeri avevano chiesto di condannare i magistrati a 8 mesi con la concessione delle attenuanti generiche ma senza sospensione condizionale della pena.
I fatti contestati nel processo si sono verificati fra gennaio e marzo 2021. In particolare i pm sono accusati di sei episodi di omissione d’atti d’ufficio per non aver depositato alle difese Eni gli elementi raccolti dal pm Paolo Storari durante l’inchiesta parallela ‘Falso complotto Eni’ (processo oggi in corso) su un presunto maxi depistaggio ai danni dei magistrati che accusavano il colosso dell’energia, con al centro la figura dell’ex legale esterno della società, Piero Amara, che in passato ha patteggiato una condanna per corruzione in atti giudiziari ed è imputato per calunnia per la vicenda della sedicente Loggia Ungheria.
Si tratta di tre documenti di 88 pagine, denominati ‘falsità Armanna’ ‘dal nome di Vincenzo Armanna, ex manager Eni, grande accusatore della società petrolifera sulla presunta mazzetta da un miliardo per aggiudicarsi il giacimento Opl 245 e poi ritrattatore. Prove che secondo Storari avrebbero dimostrato in maniera inconfutabile come Armanna fosse un calunniatore-depistatore che tenta di pagare testimoni e fornisce chat e numeri di telefono falsificati e delle quali avrebbe avvisato i colleghi con insistenza per due mesi a partire dal 18 gennaio 2021.
“È un precedente pericoloso perché mette in discussione un principio fondamentale che è poi quello della autonomia delle scelte processuali di un pubblico ministero” dice Dinoia. Nel caso specifico, ha sottolineato Dinoia, annunciando l’appello contro la sentenza, c’è il rischio di un “condizionamento dall’esterno dei processi”. In questo modo i pm “si sentiranno obbligati a depositare gli atti” ricevuti da “chiunque”.
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