di Lorenzo Re e Rebecca Ruggeri
“Facciamo parlare gli esperti”. Un caldo invito, un’intimazione a evitare di spiegare ciò che non si conosce, a non parlarne affatto se non si possiedono almeno le basi tecniche necessarie. Un mantra che, anche a causa della pandemia, abbiamo visto elevarsi alla dialettica politica, tra chi criticava virologi e comitati scientifici e chi invece vi si affidava ciecamente. Un’espressione ricorrente che, tuttavia, in una società sempre più legata all’individualismo e sempre meno a un sincero interesse per la verità, può essere recepita come un affronto, talvolta come una censura.
“Questa rimane la mia opinione”. È proprio la risposta di chi, trovatosi dinnanzi ad evidenze che non coincidono col proprio pensiero, decide di barricarsi dietro l’idea di avere, anzi di rappresentare la verità e di non potersi piegare a una delle più comuni, eppure più crudeli, ammissioni: “Scusa, avevi ragione tu”.
Tuttavia, ed è questa la nostra tesi, bisogna riconoscere come questo concetto di “propria opinione” fatichi molto ad affermarsi quando ci si addentra nelle discussioni di carattere scientifico, dove la “verità” risulta calcolabile e ti rimbalza contro, al netto di chi mette in discussione tutto, dal global warming alla sfericità del pianeta Terra. L’opinione poliforme riesce, invece, a proliferare negli ambiti umanistici, dove sono i documenti, le parole e, in ultima istanza, le persone ad aver raccontato la verità. Una verità decisamente meno neutra, più fluida e quindi alla mercé di chiunque.
Le persone che hanno dedicato la propria vita a queste discipline, che hanno sacrificato tutto per poter sviluppare un pensiero consapevole e critico sulle proprie passioni, spesso non ricevono una rispettosa accettazione della propria competenza: devono, al contrario, accettare che, tanto nella vita di tutti i giorni quanto nel panorama istituzionale, chiunque possa fornire la propria chiave di lettura, indipendentemente dal livello di conoscenza del tema. Devono accettare che molti spazi culturali vengano assegnati con scelte di convenienza e nepotismo e che, al loro interno, la propria competenza possa essere derisa o messa in discussione da chi si occupa di tutt’altro. Devono accettare, in definitiva, che la loro preparazione venga considerata una preparazione di serie B e che, oltre a essere sottovalutata economicamente, venga svalutata uniformemente in ogni ambiente culturale.
È proprio in questo modo che la letteratura, la filosofia, la storia sono diventate bagaglio culturale di tutti, diffondendo un gran numero di interpretazioni fallaci che gli stessi esperti, spesso, non hanno la forza mediatica di sfatare. Come risultato abbiamo, quindi, una storia “scritta dai vincitori” e non dagli storici, che si può liberamente assoggettare ad ogni sorta di deformazione stereotipata o tendenziosa. Abbiamo intere generazioni di filosofi, il cui pensiero pluridecennale emerge totalmente appiattito a una sola frase, a un disegno, a un aneddoto esilarante. Abbiamo letterati decontestualizzati dal proprio tempo e paragonati, in barba alla definizione stessa di anacronismo, a figure e contesti di secoli e millenni differenti, soffocati nelle rigide maglie di una sottocultura appiattita. Abbiamo, in conclusione, un panorama umanistico illimitato che non viene tutelato ma deturpato da un modello di socialità che, invece di farci sentire arricchiti dalle conoscenze altrui, gonfia il nostro ego a tal punto da chiudere totalmente la porta alla possibilità di imparare da qualcuno di diverso da noi stessi.
Tutto ciò non potrebbe, naturalmente, accadere senza la connivenza di chi questo panorama avrebbe il compito di valorizzarlo al meglio e che, invece, favorisce una banalizzazione e un appiattimento culturale, in quanto funzionale ai propri obiettivi politici ed elettorali. Siamo ormai immersi nel prodotto di una stratificazione di stereotipi che porta a barricarsi dietro la propria opinione e ad accettare la verità altrui solo se la può verificare con la calcolatrice. Siamo rinchiusi nella campana di vetro dove riecheggia in continuazione l’espressione “facciamo parlare gli esperti”. Eppure non li lasciamo entrare, li costringiamo alla fuga e, in realtà, non sappiamo nemmeno chi davvero essi siano. Cosa ci stiamo perdendo? Chi ci stiamo perdendo?
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