Centoundici, tre volte uno. Troppe, se fossero state candeline, meglio tre numeri uno. Anche se più verosimilmente per spocchia Leonidas da Silva ne avrebbe voluto uno solo sulla sua torta, se fosse ancora tra noi oggi a festeggiare il suo compleanno. Numero uno, già: un pezzo unico come quel diamante nero cui veniva accostato per numeri e prodezze e per le sue rovesciate all’epoca unicum nel panorama calcistico mondiale.
Già, nel 1913 o giù di lì il pallone era poco più di un giocattolo, un passatempo e a Rio de Janeiro si passava dall’usarlo per il calcio al basket in un attimo. A Leonidas bambino, per la verità piace più il secondo sport: non ha l’altezza del cestista ma salta e va a rimbalzo come fosse di gomma, una “duttilità” che prima ancora di “diamante nero” gli varrà il soprannome di “Homen Borracha”, uomo di plastica. Rimane orfano del papà che è ancora bambino e viene adottato dalla famiglia dove la mamma lavora come domestica. Intanto lui si alterna tra canestri e partite di calcio sulla spiaggia di Sao Cristovao, anche tornando dal lavoro che trova, a 14 anni, nella Light, un’azienda di fornitura elettrica.
Però coi piedi ha un tocco magico Leonidas, e non passa inosservato al Sao Cristovao prima e al Sirio Libanes poi, anche perché sono gli anni ’20, c’è ancora molto razzismo e il Sirio Libanes è l’unica squadra composta da neri nella periferia di Rio. Se lo accaparra poi il Bonsucesso, in cambio di due vestiti, due paia di scarpe e due di guanti. I limiti razziali vengono meno e Leonidas a 19 anni viene chiamato in nazionale. È il 4 dicembre del 1932 e a Montevideo Brasile e Uruguay si giocano la Copa Rio Branco: il primo tempo non si sblocca e il ct Luis Augusto Vinaes, che Leonidas lo conosce già dai tempi del Sao Cristovao, decide di mandarlo in campo e fa bene, visto che il ragazzo segna due gol e assicura il trofeo ai brasiliani. Al Monumental la folla ammutolisce per un attimo: con il pallone per aria Leonidas si gira, salta di schiena e “pedala” in aria colpendo il pallone in maniera precisa e potente mandandolo alle spalle del portiere Hector Macchiavello.
O forse quel gol arrivò in un match tra Bonsuccesso e Carioca: i fatti si confondono con la leggenda. Accade spesso con Leonidas, anche sul gesto stesso: qualcuno (Leonidas per primo) dice che in quel preciso istante è stata inventata la rovesciata, altri dicono che il colpo è da attribuire a Petronhilho de Brito, altri ancora al cileno Ramon Unzaga (in Sudamerica è in voga chiamare la rovesciata “la chilena”). Di fatto Leonidas si consacra con quella doppietta, e gli uruguayani, consci di aver visto qualcosa di non ordinario sono i più lesti ad accaparrarsi il campione: lo prende il Penarol e ci resta una stagione, segnando 20 reti. Torna in Brasile al Vasco, e vince il campionato, guadagnandosi la chiamata ai Mondiali del 1934. Non andrà bene in Italia, col Brasile eliminato dalla Spagna che vincerà per 3 a 1: l’unico gol verdeoro è firmato da Leonidas.
Ma sono i mondiali del 1938 a consacrarlo a leggenda: contro la Polonia ne segna 3, giocando senza scarpe per aver maggiore aderenza sul campo bagnato, ai quarti segna contro la Cecoslovacchia sia nel primo incontro finito uno a uno che nella ripetizione che regala la qualificazione ai verdeoro. In semifinale non gioca contro l’Italia, e il motivo è un mistero: è affaticato secondo le cronache ufficiali, i retroscena invece vogliono che il ct Pimenta sentendosi già in finale abbia voluto risparmiare il suo miglior calciatore, per i quotidiani italiani dell’epoca (in pieno fascismo) è invece una questione di quattrini. Di fatto Leonidas non gioca, il Brasile perde e quando rientra ne fa altri due che regalano il terzo posto ai verdeoro e a lui la palma di capocannoniere e miglior giocatore del torneo.
Diventa un mito, nel mondo e in patria, il calciatore più amato prima di tutti gli altri tanto che un’azienda dolciaria, la Lacta, dedica a lui un suo prodotto, una tavoletta di cioccolato croccante che diventa appunto “Diamante Negro”, con Leonidas che ottiene anche una percentuale sui guadagni. Da una ricostruzione di “Folha de Sao Paulo” a quel punto Leonidas ha anche un addetto stampa e un manager: probabilmente è il primo caso della storia (e siamo tra gli anni ’30 e ’40) di un calciatore che diventa azienda, pubblicizzando anche vari prodotti, dal dentifricio, alle sigarette alle pillole dimagranti agli orologi. Viste le attività “extra” si racconta abbia tentato di evitare la chiamata al servizio militare falsificando i documenti per l’esenzione, rimediando 8 mesi di carcere.
In Brasile vince in ogni squadra in cui gioca, dal Vasco, al Botafogo al Flamengo e soprattutto al San Paolo, che per assicurarselo dai rossoneri realizza quella che per molto tempo è stata la transazione più costosa nel campionato brasiliano. Concluse la carriera nel 1951, tentando quella di allenatore e poi dedicandosi al commento radiofonico delle partite, finché durante una gara palesò difficoltà, mostrando di dimenticare l’argomento oggetto dei suoi approfondimenti. Erano i primi segni del morbo di Alzheimer, che tuttavia non gli ha impedito la longevità: è morto nel 2004, all’età di 90 anni. Oggi avrebbe compiuto 111 anni, ma di numeri 1, sulla sua torta, ne avrebbe voluto uno solo. Di certo.
L'articolo Ti ricordi… Leonidas da Silva, il “diamante nero” che con le sue prodezze è diventato un mito nel mondo e in patria proviene da Il Fatto Quotidiano.