di Nadia D’Agaro
“Nell’Africa sub-sahariana la peste suina africana è endemica. Nel 2007 si sono verificati focolai infettivi in Georgia, Armenia, Azerbaigian nonché Russia europea, Ucraina e Bielorussia. Da questi paesi la malattia si è diffusa all’Unione europea: nel 2014 sono stati segnalati i primi casi in Lituania, Polonia, Lettonia ed Estonia; nel 2017 la malattia è stata segnalata in Repubblica Ceca e in Romania; nel 2018 è comparsa in Ungheria, Romania, Bulgaria e Belgio. In Italia è presente dal 1978 nella Regione Sardegna.”
La fonte di questa citazione è l’Istituto Zooprofilattico Sperimentale delle Venezie (IZSVe). Dunque la Psa esce dall’Africa, raggiunge l’Europa e nel 2018 è pericolosamente vicina all’Italia peninsulare.
L’11 luglio del 2018 l’Efsa, Autorità Europea per la Sicurezza Alimentare, in vista dell’arrivo della Psa anche in Italia rilascia una comunicazione volta a prevenire ciò che purtroppo poi invece avverrà: “mantenere i cinghiali infetti lontano da quelli non infetti.” Quindi, si suppone che ci siano già dei cinghiali infetti, e sarebbe bene che l’infezione non si diffondesse.
“Per ridurre i rischi di epidemie, dovrebbero essere attuate misure come la caccia intensiva e la non alimentazione dei cinghiali selvatici. Quando un’epidemia è già in corso, dovrebbero essere evitate attività che possano aumentare il movimento dei cinghiali (ad esempio le battute di caccia organizzate). Gli esperti non sono riusciti a stabilire una soglia di densità di cinghiali selvatici al di sotto della quale il virus non prenda il sopravvento: la Psa si è infatti diffusa anche in aree dove la presenza di cinghiali selvatici è scarsa.”
Ma l’infezione è già presente o no? Perché se è già presente, insistere con la caccia è nocivo, perché l’animale, già infetto e ferito da un cacciatore, può vagare e andare a morire diffondendo la peste anche dove ancora non c’è. E appunto “la Psa si è … diffusa anche in aree dove la presenza di cinghiali selvatici è scarsa.” Pertanto: “La sorveglianza passiva – ovvero la segnalazione di selvatici morti – rimane il modo più efficace per individuare nuovi casi di Psa in fase precoce nelle zone precedentemente indenni dalla malattia.”
Addirittura si pensa a dei solleciti alla popolazione – denaro – per segnalare i casi di carcasse di cinghiali rinvenute durante le proprie passeggiate nel bosco.
Christian Gortazar, presidente del gruppo di lavoro dell’Efsa sulla Psa ha dichiarato: “Gli esperti hanno convenuto che creare consapevolezza nella società e fornire incentivi alle persone che riferiscono l’avvistamento di carcasse di cinghiali selvatici sono provvedimenti essenziali per combattere la malattia”.
Come sapete, purtroppo la Psa si è diffusa largamente, ha raggiunto gli allevamenti intensivi, stanno procedendo ad abbattere i suini infetti, il danno economico per gli allevatori e per il settore sarà enorme.
Presente la peste suina, nessuno ha pensato bene di interrompere le battute di caccia al cinghiale, e anzi, chi osa protestare e documentare l’attività di macellazione dei cinghiali all’area aperta viene aggredito, come è successo al veterinario Massimo Vacchetta in Piemonte.
Ma cosa importa: il governo dirà pubblicamente che rimborserà gli allevatori per il loro danno, e poi… poi… Poi sta cominciando a diventare una storia vecchia a cui nessuno crede più.
L'articolo Peste suina africana in Italia, le battute di caccia ai cinghiali non si sono fermate. Anzi proviene da Il Fatto Quotidiano.