Nove anni dopo il dieselgate, Martin Winterkorn, l’amministratore delegato dimissionato dal gruppo Volkswagen quasi subito dopo che il caso era diventato di dominio pubblico e planetario, va a processo. Il procedimento comincia oggi nella Bassa Sassonia, Land azionista del gruppo con diritto di veto, presso il tribunale regionale di Braunschweig, non troppo lontano da dove l’oggi 77enne pagatissimo e potentissimo manager tedesco ha regnato sul “suo” impero, sul quale non tramontava mai il sole. In febbraio Winterkorn era già stato alcune volte in un’aula, ma in quel caso come testimone.
Nessuno, in Germania, aveva fretta di arrivare al dibattimento, rinviato più volte anche per ragioni di salute, cioè le diverse operazioni all’anca che l’ormai ex Ceo aveva dovuto affrontare. Le accuse a suo carico sono diverse, quante non ne erano mai state sollevate prima nei confronti di un dirigente di questo livello di un’azienda quotata in borsa. Sale sul banco degli imputati, naturalmente come innocente fino a prova contraria, per aver ingannato gli azionisti, per aver dichiarato il falso al Bundestag (il parlamento tedesco) in occasione della sua audizione voluta dalla dalla apposita commissione d’inchiesta. E, naturalmente, per aver frodato gli automobilisti.
Winterkorn tuttavia non è chiamato a rispondere delle manipolazioni accertate su non meno di 11 milioni di veicoli del gruppo, ma solo per 65.000, quelle vendute anche dopo essere venuto a conoscenza delle irregolarità. L’ex Ceo ha sempre negato ogni addebito: il mantra dei suoi legali è sempre stato che non sapeva e, in qualche modo, non poteva sapere tutto ciò che accadeva. E questo malgrado fosse quasi leggendaria la sua conoscenza delle auto, fino all’ultimo bullone, che talvolta costringeva gli ingegneri agli straordinari anche alla vigilia delle anteprime e dei grandi saloni.
A Winterkorn è stata finora risparmiata l’onta della galera, toccata almeno in forma preventiva (ma per diversi mesi) a Rupert Stadler, uno dei suoi delfini. Il numero uno di Audi, la cui carriera è stata legata a quella dell’ex Ceo, è rimasto al suo posto per altri tre anni, prima di dover lasciare dopo che i pubblici ministeri della Procura di Monaco 2 ne avevano chiesto e ottenuto la carcerazione nel 2018.
Dopo un procedimento durato 3 anni e senza che Stadler facesse alcuna ammissione, la scorsa estate il manager è stato condannato a un anno e nove mesi (con la condizionale) e al pagamento di oltre un milione di euro. La sentenza non è tuttavia definitiva: la difesa ha fatto sapere che farà appello.
Per il processo a Winterkorn sono state messe in calendario 89 sedute, fino al settembre del 2025. Forse troppo poche per far luce su un caso che tutti vorrebbero dimenticare il più velocemente possibile, a cominciare dal gruppo al quale oltre che in termini di immagine è costato oltre 33 miliardi di euro. Forse perfino gli stessi automobilisti, la maggior parte dei quali è stata anche indennizzata.
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