Nessuna sorpresa dall’interrogatorio di garanzia di Moussa Sangare, il 31enne che ha confessato l’omicidio di Sharon Verzeni. L’uomo, che era stato denunciato almeno tre volte dalla sorella e la madre, ha confermato le dichiarazioni gli inquirenti rispondendo alle domande dal giudice per le indagini preliminari Raffaella Mascarino. Ha ripetuto che “non c’era un movente e – ha aggiunto – non so il perché l’ho fatto”. Sangare, come ha riferito il suo legale Giacomo May, ha detto al gip di essere uscito di casa con questa “sensazione che non so spiegare” e che lo ha spinto “a voler fare del male”. Inoltre ha detto che nei giorni prima aveva fatto una sorta di esercitazione anche con una statua. Sangare è accusato di omicidio aggravato dalla premeditazione e dai futili motivi. Ad assistere all’interrogatorio, nel penitenziario di via Gleno, anche il pm che ha coordinato le indagini Emanuele Marchisio.
Il 31enne ha detto di aver scelto la vittima quando ha visto che “guardava le stelle in cielo, con le cuffiette”, le si è avvicinato in bici e le ha detto: “Scusa per quello che ti sto per fare”, poi l’ha accoltellata. La barista di 33 anni è solo riuscita a dire: “Perché? Perché?”, poi Moussa è fuggito contromano in bici lungo via Castegnate e si è dileguato, lasciando a terra Sharon, che sarebbe morta di lì a poco, e facendo perdere le sue tracce per un mese.
Per la sorella di Awa la vita di Moussa è cambiata quando era partito per l’estero: “Era un bravo ragazzo, poteva sembrare strano forse ma tranquillo, almeno fino a quando non è andato negli Stati Uniti e poi a Londra nel 2019: è tornato ammettendo di aver iniziato a fare uso di droghe sintetiche. Non era più lui. Ci sono stati giorni in cui la paura era sempre dentro le mura di casa, non mi lasciava mai. Giorni in cui urlava, parlava da solo, delirava”. Madre e figlia avevano presentato contro di lui tre denunce, l’ultima lo scorso 9 maggio. Il precedente 20 aprile Moussa aveva minacciato con un coltello alle spalle proprio la sorella.
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