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Il sisma nel Centro Italia e le ferite ancora da rimarginare. Oltre 11mila famiglie fuori casa. L’allarme di Action Aid su povertà e disagio sociale

A otto anni dal sisma che il 24 agosto 2016 ha sconvolto il Centro Italia, la “normalità” fatica ancora a tornare. In quel territorio ferito dalla terra che ha tremato uccidendo quasi 300 persone, ancora oltre 11mila famiglie sono costrette a vivere fuori dalle loro case. Eppure, nonostante questo, molti probabilmente non torneranno. Secondo gli ultimi dati, diffusi dalla struttura commissariale guidata dal senatore di Fratelli d’Italia Guido Castelli, infatti, a fronte di 50mila richieste di contributo per la ricostruzione attese, in questi anni ne sono arrivate solo 31.786. Un numero certamente in crescita rispetto agli scorsi report, ma che spaventa. Sì perché in quelle aree interne, nelle montagne tra Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria, il rischio spopolamento era, e rimane, un tallone d’Achille. Forse per questo ogni anno i termini per presentare le richieste di contributo vengono prorogati, con qualche numero in ascesa certo, ma non sufficiente. In aggiunta, denuncia ActionAid, vicina alla popolazione del sisma, nei 138 Comuni del cratere largo oltre 8mila chilometri quadrati, già toccati dai loro problemi di isolamento, “si sono sommate la disgregazione sociale, la depressione e i disagi psichici tra giovani e anziani”. E, su tutto, “è evidente l’emergenza di nuove forme di povertà”.

I numeri della ricostruzione
Facendo un giro per le aree del sisma, come Accumoli e Arquata del Tronto, le vere protagoniste del paesaggio sono ancora le macerie. Sono ormai diventate macigni sul petto di chi spera ancora di vedere ricostruita la propria casa. In tutto, fino a fine luglio 2024, erano poco più di 31mila le domande di contributo per la ricostruzione presentate da privati per immobili residenziali o produttivi, per un importo complessivo di 14 miliardi e 500 milioni di euro. Di queste ne erano state approvate quasi il 64%, cioè 20.429, per una concessione complessiva di 9 miliardi di euro, di cui 4,8 liquidati. Parlando di cantieri, poi, sono oltre 20mila quelli autorizzati, mentre poco più di 11mila risultano chiusi. Un trend in crescita rispetto al 2023 (fino al termine del primo semestre ne erano state presentate quasi 29mila), ma comunque, come detto, lontano dai numeri attesi dopo le prime ricognizioni post sisma. A segnare le due principali battute d’arresto sono stati l’incertezza dovuta al Covid, nel corso del 2020, e poi l’aumento dei costi dell’energia e delle materie prime nel 2021.

Sui rallentamenti ha pesato, come detto negli anni precedenti, anche l’assenza di tecnici e imprese, impegnati con i lavori del Superbonus sicuramente più redditizi per i professionisti. Certo muoversi tra burocrazia e richieste provenienti da 420 comuni coinvolti nel cratere non è facile. Ci sono interi borghi che richiedono una progettazione unitaria, come accaduto a Castelluccio di Norcia, dove si è previsto di ricostruire l’interno borgo mediante un intervento complessivo che prevede la realizzazione di una grande piastra di fondazione dotata di isolatori sismici al di sopra dei quali ricostruire gli edifici pubblici e privati, gli spazi pubblici e le infrastrutture di servizio. Oppure altri che non potranno essere ricostruiti dove sorgevano prima e saranno quindi delocalizzati, come Pescara del Tronto.

Diverso è per la ricostruzione pubblica, cioè quella utile a ripristinare il tessuto sociale evitando una disgregazione che rischia di cancellare ogni barlume di normalità dalle aree dell’entroterra. Si tratta di ridare vita a caserme, chiese, cimiteri, municipi, scuole, università. Dal 2016 a oggi sono stati messi a disposizione 8,2 miliardi di euro: in tutto sono 3509 gli interventi programmati per un valore complessivo di 4,2 miliardi di euro. “Dopo otto anni – dice il commissario Castelli, ex sindaco di Ascoli – credo che il primo dovere delle Istituzioni sia di fare memoria delle vittime e delle famiglie che hanno perso i loro cari e i loro beni. E chiedere scusa per i ritardi accumulati in troppe false partenze“. Il commissario nominato dal governo parla però di “cambio di passo” avvenuto nell’ultimo anno e mezzo, cioè da quando c’è lui. Cambio di passo che, dice con parole che suonano quasi come un’ammissione, “deve concretizzarsi anche nei borghi che per primi hanno subito la distruzione del terremoto: Amatrice, Accumoli, Arquata“. La tesi della accelerazione di cui parla Castelli viene contestata dal Pd delle Marche che, facendo i conti, a inizio agosto spiegava che il ritmo di elaborazione delle pratiche è uguale, se non inferiore, a quello dei commissari precedenti (Piero Farabollini nominato dal governo Conte 1 e Giovanni Legnini indicato dal Conte 2).

Ancora senza casa
Ma al di là dei numeri c’è chi ancora si chiede “quando potrò tornare a casa?”. Nessuno immaginava che fosse un processo veloce, ma qui, dove il lavoro scarseggia e le coste diventano sempre più attrattive, ricostruire in fretta è diventato quasi un mantra. E, soprattutto, mancano date certe. Al 5 luglio 2024 ancora 11.182 nuclei familiari dell’area del cratere vivevano fuori dalle loro case. Di questi 7.493 nuclei percepiscono il Cas, il contributo di autonoma sistemazione. Un contributo economico basato sul numero di persone del nucleo e su altri fattori utile a trovare una sistemazione alternativa “emergenziale”, ma che per lo più ha spinto molti residenti dell’entroterra a spingersi verso la costa, data la difficoltà nel trovare soluzioni abitative nel territorio del sisma.

Ci sono poi persone che sono rimaste non lontane da dove vivevano prima che la terra tremasse. La loro vita, però, è cambiata drasticamente. Il vicino di casa non è più lo stesso, e, sicuramente, anche i metri quadri in cui vivere sono cambiati. Stiamo parlando di circa 2800 nuclei familiari che ancora oggi, dopo otto anni, vivono nelle Sae, le soluzioni abitative emergenziali, le famose “casette”, che di emergenziale ormai hanno solo il vago ricordo. Secondo il rapporto, poi, ci sono 441 nuclei, divisi nelle quattro regioni del cratere, che usufruiscono di altri contributi non meglio identificati. Tra le oltre 11mila famiglie rimaste senza casa la maggior parte (9049) è costituita da proprietari di immobili che hanno visto la loro casa cedere, o comunque pesantemente danneggiata, per effetto delle scosse, mentre i restanti 2133 nuclei sono affittuari. Proprio su di loro dal primo settembre peserà una spada di Damocle pesantissima: secondo il decreto legge del 2 luglio 2024, chi al momento del sisma viveva in una casa in affitto, poi dichiarata inagibile, non percepirà più il contributo di autonoma sistemazione e, nel caso in cui gli sia stata assegnata una soluzione abitativa d’emergenza, cioè le casette prefabbricate, potrà continuare a viverci a una tariffa agevolata.

Le testimonianze e la denuncia
Come denunciato da ActionAid in una nota diffusa in occasione dell’ottavo anniversario, nel territorio ferito, già isolato per la naturale conformazione delle regioni colpite, ad essere più a rischio marginalità sono “donne e giovani”. Nelle regioni colpite, infatti, spiega l’associazione, “le fragilità sociali esasperate dal terremoto, hanno inciso sulle motivazioni e sulle opportunità dei giovani di partecipare al mondo del lavoro”. Il Lazio, per esempio, ha la più alta percentuale di Neet, cioè giovani che non studiano e non lavorano (circa il 25,1%), seguito da Umbria col 20% e Marche con il 19,9%. Nel Centro Italia, poi, le Marche sono la regione con la più alta percentuale di donne che non lavorano né studiano: sono quasi il 59%. Sempre nelle Marche, denuncia ancora ActionAid, “la regione dove il cratere esteso per circa il 40% del territorio, oltre il 65% dei giovani ha contratti precari e le donne hanno uno stipendio inferiore in media di 7mila euro rispetto agli uomini”.

Ma è soprattutto la disgregazione sociale che pesa su questi territori, come racconta una testimone. “All’inizio dopo il terremoto siamo stati tutti uniti, tutti insieme, poi sono arrivate le casette, le Saw e ognuno si è trovato a vivere in modo diverso, con persone che non conosceva – racconta Claudia Pasqualini, che gestisce una impresa di salumi a Muccia, ad ActionAid – Poi c’è stato il Covid e non si è più usciti, c’è una chiusura e una difficoltà a partecipare, i problemi di ogni famiglia sono troppi da affrontare, tante persone anziane si sono ammalate. Dopo 8 anni, tutto è cambiato. Solo a luglio di quest’anno sono iniziati i lavori di ricostruzione della nostra casa, ma i miei figli non vivono più con noi, sono grandi”. La sua è solo una delle tante voci di chi in questi anni ha dovuto combattere per andare avanti, scontrandosi con la lentezza della ricostruzione e affrontando tutte le conseguenze. Come quella di una vita ormai diversa rispetto a quella del 2016.

L'articolo Il sisma nel Centro Italia e le ferite ancora da rimarginare. Oltre 11mila famiglie fuori casa. L’allarme di Action Aid su povertà e disagio sociale proviene da Il Fatto Quotidiano.

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