Si riparte dalla fine per far luce sulla macabra sequela di duplici omicidi del killer che ha riempito pagine di cronaca più di tutti, in Italia: il Mostro di Firenze. Per questa truce storia ci sono delle sentenze di condanna ma non per tutti gli omicidi compiuti. Negli anni ’90 si arrivò finalmente a un processo, quello all’assassino seriale Pietro Pacciani che fu arrestato il 17 gennaio 1993 e con lui furono accusati i cosiddetti “compagni di merende” Mario Vanni e Giancarlo Lotti. L’inchiesta portò all’accusa di quest’ultimi per quattro dei delitti mentre Pietro Pacciani, condannato in primo grado ma poi assolto in appello, morì prima di essere sottoposto a un nuovo processo d’appello.
Quella del Mostro resta una triste vicenda in parte avvolta nel mistero ed è ancora, in sostanza, una storia di casi irrisolti. E come spesso accade per i cold case, a dare l’ultima speranza di verità è la regina madre delle prove: quella del Dna. Del materiale genetico ignoto è stato rintracciato, grazie alle ricerche dell’ematologo Lorenzo Iovino, su uno dei proiettili che hanno spezzato la vita all’ultima coppia preda della furia omicida del mostro: Nadine Mauriot e Jean Michel Kraveichvili. La nuova sequenza genetica rilevata da Iovino, scorporata in modo integrale, risulta parzialmente sovrapponibile con quelle rinvenute su altri due proiettili esplosi dall’arma che ha ucciso altre due coppie: Pia Rontini e Claudio Stefanacci, il 29 luglio 1984 e Horst Wilhelm Meyer e Jens-Uwe Rüsch, il 9 settembre del 1983.
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