Sarà perché amo Parigi. Ma la cerimonia d’apertura dei Giochi di Parigi è stata genialmente bella. Audace. Beffarda. La più improbabile, senza dubbio anche la più arrischiata. Ma affascinante. E rivoluzionaria: ha sverniciato e messo in soffitta tutte le altre cerimonie che l’hanno preceduta. Ha portato fuori da uno stadio un rituale ormai invecchiato ed impolverato, l’ha rivitalizzato sfruttando la Senna e i monumenti emblematici che la costeggiano. Sono o non sono i Giochi di Parigi? Ebbene, Parigi vuole tornare di nuovo il centro del mondo, è nel suo destino, nel suo fascino, nelle sue promesse (che spesso, purtroppo, non sono mantenute, brontolano i parigini, i quali ieri hanno fischiato Macron ed applaudito i palestinesi).
Ha liquidato il ricordo di cerimonie magari perfette, magari spettacolari, ma pur sempre stucchevoli rifugi di tradizioni, di propaganda, di Storia confezionata dal potere. Ieri, a Parigi, è successo esattamente il contrario: la città che organizza e mette in scena i Giochi ha preteso d’essere più Edith Piaf che Napoleone, più muscoli per amare che per sfidare, più attualità che biggino del passato – e, quanto a passato, la Francia ne ha da vendere…. Per la fortuna di chi ha seguito in tv la cerimonia, e non si è mai annoiato, la Parigi a cinque cerchi ha evitato la trappola della trita e ritrita retorica sul “quel che conta è partecipare”, semmai è vero il contrario, e ha affrontato in dodici quadri del copione cerimoniale con vigore innovativo: i conflitti urbani, la rabbia, l’opportunità dell’inclusione, la “sororità” (quando mai in passato si è visto celebrare un’eroina dell’anarchismo femminile? E che meraviglia vedere spuntare dalla Senna dieci statue dorate di donne che hanno marcato la storia francese e la lotta per i diritti e l’emancipazione femminile, compresa la depenalizzazione dell’aborto: impensabile chez nous con Meloni e Salvini al governo…).
Sotto l’ampio e sfavillante mantello dell’amore, ah l’amour!, applausi scroscianti come la pioggia per il cuore gigantesco disegnato dalla pattuglia acrobatica francese nel cielo bigio ma stranamente luminoso di Parigi – e qui, la pioggia che martellava les rues de Paris ci ha ricordato Yves Montand, Jacques Brel, Juliette Gréco, la musica talvolta struggente ma mai banale né banalizzata dai remake e dai medley è stata più di un filo conduttore. Ha trasmesso voglia di andare a Parigi, non di scappare da Parigi…Lo sport come pretesto non per legittimare un regime – vedi Berlino 1936, Mosca 1980, Pechino 2008, Soci 2014 – ma per raccontare un luogo dove lo sport sarà protagonista sino al 12 agosto. E dopo? Dopo, Parigi si è proposta. Ha ingaggiato Lady Gaga. La star americana si è esibita con una impeccabile reinterpretazione di un celebre numero creato da Zizi Jeanmaire nel 1961 (quelli della mia generazione se la ricordano protagonista di indimenticabili varietà della Rai quando la Rai non era insulsa come oggi). Un tripudio di piume nere e ventaglioni rosa sorretti da ballerini, lei davvero molto glam, ha trasmesso con docile ironìa sensazioni di raffinatezza. Cioè di Paris…
Qualcuno sostiene che sarebbero stati messi in secondo piano gli atleti: evidentemente si è distratto. Erano coinvolti nel bellissimo ed intenso spettacolo. Sfilavano a bordo di bateaux mouches, gigantesco quello degli americani, la squadra più numerosa e rumorosa, oppure su motoscafi, o ancora su natanti di varia misura, quasi tutti indossavano sopra le loro divise degli spolverini trasparenti di plastica (tra le autorità, Mattarella in impermeabile, Macron e Brigitte, impavidi, senza). Gli atleti hanno gradito questa gita di sei chilometri lungo la Senna, dal ponte di Austerlitz al Trocadero (ah, “sous les ponts de Paris…”). Altri, come gli algerini, hanno sfruttato l’occasione per gettare dei fiori nella Senna e commemorare il massacro del 17 ottobre 1961, quando una manifestazione di protesta a favore del Fln (Fronte di liberazione nazionale) fu violentemente repressa dalla polizia di Maurice Papon, a suo tempo uno degli esecutori più ligi del regime collaborazionista di Vichy. Quel giorno decine di manifestanti furono picchiati a morte e scaraventati nel fiume che ieri era al centro della cerimonia d’apertura. Il gesto degli algerini è stato ripreso in diretta mondovisione: a Pechino, per esempio, nella fastosa manifestazione d’apertura, ben si sono guardati dal ricordare le vittime delle repressioni maoiste o quelle di piazza Tienanmen…
L’ispirato maestro della cerimonia, Thomas Joly, assistito dallo storico Patrick Boucheron, ma anche dalla scrittrice Leïla Slimani (premio Goncourt), dalla scenografa Fanny Herrero e dall’attore ed autore di teatro Damien Gabriac, ha osato l’inosabile, tenuto conto che si trattava pur sempre di “aprire” i Giochi. C’è riuscito, malgrado la pioggia. Anzi, la pioggia, che cadeva abbondante, è stata una sorta di ospite a sorpresa, apprezzabile “elemento naturale e tipico della città”, ed ha reso ancor più avvincente assistere ad un autentico e non artificiale “ballando sotto la pioggia”, tant’è che il funambolo in bilico sulla fune tesa sopra i tetti di Parigi ad un certo punto è scivolato a metà percorso (tranquilli: si è rialzato senza danni). Ma che bello vedere i pianoforti a coda coperti d’acqua, i ballerini spruzzare e rischiare clamorosi capitomboli, gli artisti inzuppati: quante volte ci è capitato d’essere senza ombrello? Parigi è stata rappresentata come è, non come dovrebbe essere. Magnifica. Innovativa. Allegra. Diversamente…diversa: i ragazzi che si abbracciano e baciano, e chiudono la porta del loro appartamento…le ragazze che stringono le mani e si coccolano…dite quel che volete, ma questa cerimonia è stata un calcio nel deretano dei razzisti, dei fasci, degli xenofobi, di chi odia il movimento Lgbt. L’anima di Parigi è sempre stata un passo avanti a quelle delle altre capitali, Parigi con la sua stravaganza, la sua arte, la sua cultura. Il suo stile. Le sue irriverenze.
E i suoi giochi (in minuscolo) semantici. Già. In francese Senna (Seine) e scena (scène) si pronunciano allo stesso modo. Joly ha preso spunto da questo ed ha evitato di cincischiare sui discorsi della “Francia eterna”. La Marsigliese è stata cantata dalla mezzo soprano Axelle Saint-Orel, genitori guadalupesi: il che ha suscitato furore tra le fila del Rassemblement National. Alla Conciergerie, nel quadro simbolicamente consacrato alla Rivoluzione, il gruppo metal Gojira ha sterzato hard. Scommettiamo sulle polemiche dei tradizionalisti perché Maria Antonietta decapitata ma con la testa tra le mani ha cantato “Ça Ira”, celeberrima e dinamica aria che è stata ed è tuttora un esempio sorprendente del potere della musica, “Ah! ça ira, ça ira, ça ira,/Les aristocrates à la lanterne!/Ah! ça ira, ça ira, ça ira/Les aristocrates on les pendra!”. L’assalto delle Tuileries, Danton che arringa i Cordeliers… Poi, la prorompente Aya Nakamura, la cantante francese più popolare nel mondo, infiamma la folla con “Pookie” e “Djadja”, il suo duo con la Garde républicaine è buffo per il contrasto tra l’esuberante Aya inguainata d’oro e la compostezza della banda militare.
Ho solo accennato ad alcuni momenti di questa anti-cerimonia. Tralascio il finale, ma non trascuro il discorso del presidente Cio, Thomas Bach, che ha invitato a rispettare gli altri, “nel nostro mondo olimpico c’è posto per tutti, viviamo in un mondo lacerato dalle guerre ma è grazie ai Giochi che possiamo riunire tutti gli atleti del mondo. Vi invito a sognare con noi, lasciatevi ispirare dalle gioie di queste competizioni per vivere una vita di pace. Uniti in tutta la sua diversità”. L’utopia delle parole disattese dal contesto geopolitico. I Giochi sono fuori gioco? Il clou finale è inevitabilmente sciovinista, con la folla dei campioni olimpici francesi che si alterna nel portare alla meta finale la torcia. Anche se a mitigare questo patriottismo sportivo si sono prestati Rafael Nadal, Carl Lewis, Nadia Comaneci, Serena Williams…Dopo quasi quattro ore, eccoci al dunque: la simbolica accensione del braciere. E qui, altro colpo di genio. Il braciere è il cesto metallico e dorato di un’immensa mongolfiera, anch’essa dorata. Il fuoco sacro d’Olimpia si solleva lentamente, mentre da venti minuti la Tour Eiffel è un turbinìo di laser in un crescendo frastornante “son et lumière” da lasciarti senza fiato. La Francia d’oro vola. Da oggi, tocca agli atleti volare.
L'articolo Stravagante, irriverente, audace: la cerimonia d’apertura è stata come Parigi, un passo avanti rispetto alle altre capitali – il commento proviene da Il Fatto Quotidiano.