Turni massacranti, anche da 11-12 ore al giorno. Nessun riposo settimanale per almeno due mesi consecutivi, se non tre. Il tutto per una media di paga inferiore ai sei euro l’ora (5,60 euro di media) con picchi minimi di appena 4,4 euro netti l’ora.
Stiamo parlando del lavoro stagionale in una delle principali mete estive, la riviera romagnola, dove il salario minimo sembra ancora una chimera. Hotel, ristoranti, stabilimenti balneari. Ogni anno in Italia il grido dei datori di lavoro arriva disperato già da febbraio: “Mancano lavoratori”. E ogni anno la causa cambia capro espiatorio: prima fu l’abolizione dei voucher, quindi l’introduzione del reddito di cittadinanza che, di fatto, rendeva poco attrattivo un lavoro con molti oneri e poche garanzie. E quest’anno? Nonostante il sussidio sia stato cancellato con non pochi proclami dal governo Meloni, le lamentele non sono cambiate. Questa volta la principale accusa, spiegano dalla Filcams-Cgil di Rimini, è quella mossa contro l’impossibilità di assumere giovanissimi (tra i 16 e i 18 anni) con un contratto di apprendistato professionalizzante a meno che non provengano da percorsi di studio inerenti al settore. Tradotto, possono lavorare a un basso costo per il datore di lavoro solo i minorenni che frequentano istituti alberghieri.
A prescindere da allarmi e proclami, il Fattoquotidiano.it, a un anno dall’abolizione del Reddito di cittadinanza, ha provato a fare un giro nelle strutture ricettive che, a metà giugno, cercavano ancora lavoratori. Tra Rimini, Riccione, Misano Adriatico e località limitrofe della costa romagnola, molte delle strutture, alla nostra telefonata di richiesta di un colloquio hanno risposto di essere già “a posto”, oppure di richiamare successivamente, al termine del periodo di prova di altri lavoratori già avviati. Risposte che sembrano smorzare quindi l’allarme sull’assenza di lavoratori, almeno a stagione già iniziata.
Tra i colloqui fatti, invece, la situazione non è delle migliori. I problemi che, denuncia la Filcams-Cgil di Rimini, “atavicamente ogni anno si ripetono”, sono rimasti immutati nel tempo. Seppur con dei picchi di aumenti di stipendio, fino a un massimo di 2000 euro al mese per 10 ore di lavoro, con l’incognita del giorno libero, ma senza alloggio, la media resta ancora molto bassa, arrivando a meno di 6 euro netti l’ora, cioè 5,60. Anche in negativo i “picchi” meritano attenzione: si arriva a un minimo di poco più di quattro euro netti l’ora, con uno stipendio di 1500 euro al mese, nessun riposo settimanale, turni da 11 ore e mezza al giorno, con l’amara consolazione, però, dell’alloggio. Numeri comunque lontani dalla proposta delle opposizioni sul salario minimo che prevede 9 euro lordi all’ora. Secondo i nostri calcoli, dato il monte ore giornaliero degli stagionali, con una paga minima oraria la differenza mensile sarebbe anche di 300/400 euro in più.
Durante quasi tutti i colloqui, però, le condizioni, al di fuori di ogni regola contrattuale, restano pressoché immutate: lavoro sette giorni su sette, quindi senza riposi settimanali per tutta la stagione estiva, turni che arrivano anche a 12 ore al giorno, con tre turni di pasti per quanto riguarda gli hotel, che diventano due (e otto ore di lavoro) solo in un illuminato caso, e, solamente in poche occasioni, alloggio compreso, con il rischio quindi di dover fronteggiare, se si viene anche da poco lontano, la babele degli affitti estivi del litorale, spesso gonfiati fino quasi a “impattare per il 50% sui salari dei lavoratori del turismo”, denuncia Francesco Guitto della Filcams Cgil. Sì perché, se si richiede la presenza giornaliera dalle 7 del mattino fino alle 21,30 di sera, con pochissime pause nell’arco delle 24 ore e senza giorno di riposo, appare difficile immaginare di vivere anche in paesi limitrofi al luogo di lavoro. Tanto che anche i datori, in sede di colloquio, lo sconsigliano, senza però fornire soluzioni alternative all’assenza di alloggio.
“Le forme di sfruttamento nel settore del turismo negli anni si sono evolute. Anni fa la principale era quella classica del lavoro nero, ed era più facile anche da andare a intercettare. Negli ultimi anni invece quella più diffusa è quella del part-time mascherato“, ci spiega ancora Guitto. In pratica il datore di lavoro offre un contratto part-time di “5-6 ore al giorno”, ma dietro in realtà si nasconde “tutta un’attività irregolare”, fatta da 11-12 ore al giorno lavorate, 7 giorni su 7, così “se arriva l’ispettorato del lavoro è facile poter dire che in quella giornata il lavoratore ha semplicemente cambiato il turno”.
Durante i nostri due colloqui più “fortunati” è stata proposta in un caso un’offerta di 2000 euro mensili ma con un turno da 10 ore circa e con l’incognita della giornata libera, mentre nel secondo caso si trattava di un’offerta di otto ore lavorative su due turni (pranzo e cena in un hotel), con giorno libero e circa 1500 euro di stipendio mensile, entrambi senza alloggio. Secondo Filcams-Cgil sono un’eccezione. Oppure, ironizza Guitto, “la vostra fama di giornalisti vi precede e ai colloqui gli imprenditori arrivano ormai preparati perché sanno di potersi imbattere in delle ‘indagini'”.
In altri casi il meccanismo è quello dei “soldi fuori busta”, cioè in nero, “una situazione classica che si viene a riscontrare ogni anno” dice il sindacalista. Nei colloqui de ilfattoquotidiano.it è successo in due casi. Al lavoratore viene offerto un “regolare contratto da 1200 euro al mese” con la prospettiva “se ti comporti bene” di poter “arrivare anche a 1600”. “Così è difficile per un lavoratore poter credere di impostare la propria vita nel settore del turismo se queste sono le condizioni”, denuncia ancora Guitto, sottolineando che dietro queste situazioni “si nascondono reati come l’evasione fiscale e contributiva“. Il tema non è solo legato alla legalità e alla conciliazione dei tempi di vita e lavoro, ma anche “alla salute e alla sicurezza”. Si lavora a ritmi estenuanti: in un hotel in media ci sono un turno legato alla colazione dalle 7 alle 11,30, uno del pranzo dalle 12 alle 15 circa e uno della cena dalle 18 alle 22. Per sostenere questi ritmi “non vengono rispettate alcune norme” che si legano a “tutta una serie di patologie legate allo stress da lavoro correlato”.
L’opportunità per un passo in avanti, conclude il rappresentante della Filcams, potrebbe essere quella di cogliere l’occasione dell’applicazione della Bolkestein e giocare d’anticipo con le concessioni balneari, che non riguardano solo i lavoratori “standard” legati alla spiaggia, come i bagnini, ma anche tutti i lavoratori correlati dell’indotto, come ristoranti e bar. Con la speranza di ritornare nel 2025 e trovare condizioni migliori.
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