L’agonia democratica continua. Anzi, se possibile, si fa più dolorosa e profonda. Nella conferenza stampa finale del vertice Nato a Washington, Joe Biden non ha offerto quella prova disastrosa in cui molti democratici speravano per farlo fuori definitivamente. In quasi un’ora di domande serrate dei giornalisti, il presidente ha avuto solo un paio di lapsus. In un passaggio, volendo riferirsi alla sua vice Kamala Harris, ha parlato del “mio vice Donald Trump”. In un altro momento, a proposito delle armi all’Ucraina, ha detto di volerne discutere con “il mio commander in chief”. In realtà, il commander in chief è lui, il presidente degli Stati Uniti. Poco prima, presentando a un evento pubblico il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, se n’era uscito con un “Ed ecco a voi Putin!”. Ma si è trattato di episodi che non scalfiscono il dato di fondo cui si è assistito durante la conferenza stampa: Biden ha dimostrato di saper trattare in modo competente le questioni affrontate. E di fronte alla domanda più volte ripetuta,non ha avuto esitazioni: “Resto il candidato. Voglio finire il mio lavoro”.
Nella giornata di giovedì si erano diffuse molte voci sull’ormai prossima uscita di scena. “I suoi più stretti collaboratori stanno cercando di invitarlo al ritiro”, dicevano fonti democratiche. Secondo il New York Times, lo staff stava studiando i numeri di Kamala Harris per capire se la vicepresidente fosse in grado di battere Trump a novembre. Si trattava, apparentemente, della presa di coscienza finale, da parte dello stesso team Biden, dell’impossibilità di continuare nella campagna. Sembrava che alla fine l’azione combinata di big del partito, grandi donatori, deputati e senatori, sondaggi, avesse raggiunto l’effetto sperato. Costringere Biden alle dimissioni, per arrivare al più presto alla scelta di un nuovo o di una nuova candidata da opporre a Trump il prossimo novembre.
E invece no. Di fronte alla stampa ormai pronta a registrare ogni sua minima esitazione, di fronte al partito che vuole chiaramente cacciarlo, di fronte agli americani (secondo il Pew Research Center, solo il 24% degli elettori pensa che il presidente abbia le facoltà necessarie per tornare alla Casa Bianca), Biden ha avuto un sussulto di orgoglio e ha offerto una prova tutto sommato solida. Ha detto che Kamala Harris è certo un’ottima politica, “è per questo che l’ho scelta come mia vice”. Ma il candidato resta lui, ha spiegato, perché ha già battuto Trump una volta e può farlo una seconda. A chi gli ha fatto presente che nel 2020 aveva annunciato di essere il presidente di un solo mandato, quello destinato a fare da ponte tra la vecchia e la nuova generazione di democratici, Biden ha risposto che le condizioni sono cambiate, che l’America si batte per la propria sopravvivenza e che lui è il candidato che può liberare il Paese dalla minaccia di Trump (cui Biden ha dedicato tutta la prima parte della conferenza stampa, attaccandolo in particolare per l’intenzione di minare la Nato).
Biden ha spiegato di voler restare al suo posto “anche se mi dovessero portare numeri secondo cui altri dem” sono in grado di battere Trump. “Harris potrebbe essere un’ottima presidente”, ha riconosciuto, ma “sono comunque io la persona più qualificata per questo ruolo”. Biden è apparso particolarmente a suo agio nella discussione di alcune questioni internazionali. Certo, la voce è ormai quella, roca e un po’ rantolante. Ma il presidente è riuscito ad articolare temi anche complessi: dove gli ucraini possono colpire, e dove non possono, in territorio russo; la sfida con la Cina e il suo ruolo di appoggio alla Russia; la guerra a Gaza (Biden ha minimizzato gli scontri con Netanyahu, dicendo che “occasionalmente, non è stato così cooperativo”), fino ai risultati della sua politica economica, le sentenze reazionarie della Corte Suprema, la difesa dell’aborto. “Control guns, not girls”, ha detto a un certo punto: “Controllate le armi, non le ragazze”. A chi gli chiedeva, per l’ennesima volta, di eventuali problemi neurologici, ha replicato di aver condotto di recente tre test senza che sia emerso nulla di preoccupante.
Difficile dire cosa succederà ora. Biden non ha fatto quella brutta figura che lo avrebbe messo fuori gioco definitivamente. È anche vero che questa conferenza stampa non cambia la percezione di un presidente anziano e malato, che molti americani hanno di lui – e che Donald Trump, sul suo social “Truth”, ha immediatamente sottolineato, scrivendo “Bel lavoro, Joe”, a proposito della confusione tra lui e Harris. Dalle prime reazioni post-conferenza stampa, sembra che la prova non sia servita a placare i timori e i dubbi dei democratici. Tre altri deputati, Jim Himes, Eric Sorensen e Scott Peters, si sono uniti al coro di quelli che chiedono il ritiro del presidente, portando il numero complessivo dei “rivoltosi” a 17. In un’intervista alla Cnn, Tom Malinowski, ex membro dell’amministrazione Obama, ha spiegato che “una vasta maggioranza del Congresso vuole che Biden si ritiri”. A questo punto si profila uno scontro durissimo tra presidente e parte dei legislatori, soprattutto i deputati, e diventa possibile – l’ha evocato lo stesso Biden in conferenza stampa – che alla Convention democratica di agosto settori dem si schierino contro Biden. Sarebbe una prova disastrosa di scarsa fiducia nel proprio candidato e un invito a nozze per i repubblicani, che potrebbero martellare Biden usando gli stessi membri del suo partito. Urge, e velocemente, una soluzione. Nelle ultime ore è emersa la notizia di un colloquio tra Nancy Pelosi e Barack Obama. Potrebbe essere demandata a loro la richiesta finale perché Biden se ne vada.
L'articolo Usa, Biden non molla e allunga l’agonia dem: “Resto candidato, voglio finire il mio lavoro”. Ma chiama Zelensky “Putin” e Harris “Trump” proviene da Il Fatto Quotidiano.