Una Serie A più forte, una FederCalcio più debole. La riforma che i patron chiedevano da tempo e che non erano mai riusciti ad ottenere alla fine si fa per decreto. Anzi, si farà, perché il tanto controverso “emendamento Mulè”, stabilendo una maggior rappresentazione in consiglio ed in assemblea per chi apporta il contributo economico più grande al sistema, apre solo un percorso che dovrà essere poi ratificato all’interno del mondo dello sport. La strada insomma è ancora lunga, ma è tracciata.
Breve riassunto della vicenda che è diventata un’autentica telenovela nel corso delle ultime settimane. Come rivelato in anteprima dal Fatto a fine giugno, la Lega Calcio ha promosso ed è riuscita a far inserire all’interno del Decreto sport in fase di conversione un emendamento che stabiliva per legge l’autonomia tanto rivendicata dai presidenti del pallone. La firma ce l’ha messa Giorgio Mulè, deputato di Forza Italia (stesso partito di Claudio Lotito) e vicepresidente della Camera, un esponente di peso della maggioranza, ma è chiaro che la proposta viene da lontano: in particolare dalla commissione di esperti di cui fanno parte due figli di presidenti della Repubblica come Giulio Napolitano e Bernardo Giorgio Mattarella, a cui la Lega Calcio aveva affidato in primavera il compito di studiare una soluzione per avere più autonomia dalla Figc.
Il testo in origine prevedeva tutta una serie di poteri e facoltà in più per la Lega Calcio che al momento vale solo il 12% dei voti in FederCalcio e conta su appena 3 consiglieri su 20, quindi di fatto non conta nulla. Innanzitutto, un peso elettorale “proporzionale al contributo economico”, visto che il pallone è un sistema di mutualità generale, ovvero si basa essenzialmente sul 10% dei proventi dei diritti tv che ogni anno la Serie A gira al movimento. Di qui la rivendicazione dei patron. Ma poi anche una “autonomia statutaria e regolamentare”. E addirittura il diritto di veto su tutte le delibere federali che riguardano “direttamente o indirettamente” la Serie A, e la possibilità di fare ricorso contro eventuali provvedimenti contrari subito al Tar, saltando la trafila della giustizia sportiva. Di fatto, l’emendamento avrebbe reso indipendente la Serie A, un po’ sul modello Premier League pur rimanendo all’interno del sistema, relegando in una posizione di totale marginalità la FederCalcio di Gabriele Gravina.
Le proteste erano prevedibili. E infatti la Figc, che all’inizio impegnata con la nazionale agli Europei in Germania era stata colta impreparata dal blitz dei patron, ha fatto fuoco e fiamme nel tentativo di affossare il provvedimento, smuovendo tutte le proprie influenze. L’ultimo colpo di teatro, la lettera inviata da Uefa e Fifa nel giorno decisivo, che paventava fantomatiche sanzioni nei confronti del calcio italiano, come l’esclusione dalle coppe europee o la revoca dell’Europeo. La solita pantomima della violazione dell’autonomia sportiva, spauracchio già agitato anni fa da Giovanni Malagò contro la riforma che ridimensionava il suo Coni. Una minaccia a cui non crede più nessuno (ve le immaginate Fifa e Uefa che non hanno il coraggio di colpire Stati canaglia per gravissime violazioni dei diritti umani, escludere le squadre italiane per un cavillo amministrativo?), sempre però di grande effetto mediatico. Ma stavolta il governo ha tirato dritto, almeno parzialmente.
Della proposta iniziale, in realtà, nell’emendamento riformulato più volte e approvato alla fine in commissione è sopravvissuta solo la prima parte. Caduta la norma sulla giustizia (da subito a rischio illegittimità), i patron hanno dovuto rinunciare anche al diritto di veto (oggettivamente per come era stata scritta la norma era parecchio invasiva), e alla fine persino all’autonomia. Rimane il comma sulla rappresentanza, che poi era anche l’unico davvero attinente all’articolo del decreto che riguarda le regole delle elezioni federali: “Nel rispetto degli statuti delle federazioni di riferimento (…), le leghe sportive professionistiche hanno diritto a un’equa rappresentanza (…) che tenga conto anche del contributo economico apportato al relativo sistema sportivo”. In cambio, all’ultimo minuto il Ministero dell’Economia ha preteso di inserire una prescrizione per tutti i club che dovranno essere in regola al pagamento con i debiti fiscali nei confronti dello Stato per utilizzare i crediti in camera di compensazione. Un modo per obbligare le squadre a pagare le tasse, un segnale che Giorgetti ha voluto mandare al pallone.
Il risultato è che la Serie A, insieme alla B e alla C, dovrà pesare di più. Cifre precise non ce ne sono, spetterà al mondo del calcio stabilirle, ma una soglia ragionevole potrebbe essere intorno al 50% complessivamente per l’area del professionismo, e almeno al 25% per la massima serie. Per il momento non è una rivoluzione, come sognavano i patron, ma una scossa che cambierà tanti equilibri: la Serie A può comunque festeggiare. Il resto si vedrà in futuro: non è escluso che i punti stralciati possano essere ripresi in un successivo disegno di legge, per una riforma più organica con il coinvolgimento delle parti, come auspicava il ministro Abodi. Tutti elementi che la Figc non ha mai saputo, o voluto, affrontare. Per questo l’approvazione di oggi, se non un vero e proprio atto di sfiducia o uno schiaffo a Gravina, che è riuscito ad attutire il colpo, è quantomeno un avvertimento.
L'articolo “Più potere alla serie A”, il governo tira dritto: passa l’emendamento Mulè, avvertimento a Gravina proviene da Il Fatto Quotidiano.