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In Italia il problema non è l’eccessivo ricorso alla giustizia, bensì la giustizia che non funziona

In Italia il problema non è l’eccessivo ricorso alla giustizia, bensì la giustizia che non funziona

Pochi giorni fa è uscito l’EU Justice Scoreboard 2024, l’annuale riassunto statistico dei principali indicatori sul funzionamento della giustizia nei singoli stati membri pubblicato dalla Commissione per l’efficienza della giustizia del Consiglio d’Europa (Cepej). Non è proprio chiarissimo come vengano raccolti, validati e valutati i dati che ne sono alla base. Ad ogni modo in […]

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Pochi giorni fa è uscito l’EU Justice Scoreboard 2024, l’annuale riassunto statistico dei principali indicatori sul funzionamento della giustizia nei singoli stati membri pubblicato dalla Commissione per l’efficienza della giustizia del Consiglio d’Europa (Cepej). Non è proprio chiarissimo come vengano raccolti, validati e valutati i dati che ne sono alla base. Ad ogni modo in assenza di indizi sospetti bisogna prenderlo per buono.

Limitando l’analisi alla giustizia civile, due dati saltano immediatamente all’occhio:
1. L’Italia è poco sopra metà classifica per cause civili e commerciali pro capite. In Belgio, Spagna, Portogallo, Polonia – per fare alcuni esempi – si va in tribunale molto più spesso. In Francia poco meno, in Germania decisamente meno.
2. L’Italia è saldamente in fondo alla classifica del tempo necessario per definire un processo civile o commerciale in prima istanza o in tutte le istanze, come al solito in compagnia degli altri componenti del dream-team di inefficienza giudiziaria Grecia e Cipro. Infatti l’Italia è anche in fondo alla classifica per numero di cause pendenti (cioè: non ancora decise).

Naturalmente si potrebbe scrivere un trattato sul perché una determinata popolazione ricorra più o meno facilmente alle vie legali. Una cosa però è certa: i conti non tornano. Se il carico di cause entranti è letteralmente “nella media”, mentre è vergognosamente sopra la media la durata dei processi, significa che il problema non è l’eccessivo ricorso alla giustizia, bensì la giustizia che non funziona. Si vede che al Ministero della Giustizia queste informazioni non arrivano, perché le diverse riforme e riformette susseguitesi negli ultimi quindici anni – specie quelle del 2010 e del 2014 – hanno invariabilmente affrontato il problema con il solito elisir miracoloso (e sempre osannato dai più solerti commentatori) della “deflazione”: abbiamo una giustizia che fa schifo? Facciamo in modo che la usino in pochi. Per chiarezza: i dati dello Scoreboard 2024 finiscono al 2022, sicché si riferiscono alla situazione precedente all’entrata in vigore della riforma. Sono gli stessi dati utilizzati (presumo) dal Ministero per partorire la riforma.

Una proposta che non potrai rifiutare

Se ora state pensando che l’ultima e migliore riforma della giustizia varata dal governo dei migliori in persona della sua eponimica migliore ministra della giustizia, Marta Cartabia, abbia finalmente invertito la rotta, vi sbagliate di grosso. Il cavallo di battaglia resta la deflazione selvaggia, che nel civile prende anzitutto le forme della mediazione obbligatoria: se non fai un tentativo, non puoi fare causa. La riforma Cartabia ne ha esteso l’applicazione a: contratti di associazione in partecipazione, consorzio, franchising, contratto di opera, contratto di rete, contratti di somministrazione, società di persone e subfornitura – che vanno quindi ad aggiungersi alle materie già soggette a mediazione obbligatoria dal 2010, cioè condominio, diritti reali, divisione, successioni ereditarie, patti di famiglia, locazione, comodato, affitto di aziende, risarcimento del danno derivante da responsabilità medica e sanitaria e da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità, contratti assicurativi, bancari e finanziari. E’ stato calcolato che rappresentino circa il 20-25% del contenzioso civile.

Per essere sicuri che il messaggio sia ben chiaro, la riforma Cartabia prevede addirittura che la parte non comparsa personalmente al tentativo di mediazione senza giustificato motivo possa essere condannata al pagamento di una penale. Resta poi invariata la previsione secondo cui, se il giudice emette una sentenza che corrisponde in toto o anche in parte alla proposta conciliativa avanzata nel corso del procedimento di mediazione, e rifiutata da una delle parti, può condannare la parte che l’ha rifiutata ad una sanzione. La mediazione è un’offerta che non si può rifiutare, a meno di non essere disposti a subire ritorsioni.

Mediazione e liberazione

Ora, qualsiasi mediatrice o mediatore vi confermerebbe in buona fede che la mediazione è concepita per essere volontaria. In un mondo ideale – o anche solo in un paese più civile come la Germania o la Francia – la mediazione potrebbe esprimere il meglio di sé: ovvero sarebbe uno strumento volontario e alternativo a cui ricorrerebbero le parti (magari anche su invito del giudice) per risolvere casi concretamente adatti ad essere mediati (per esempio: casi in cui la ragione sta a metà tra i contenenti, casi in cui in gioco non c’è solo una somma di denaro etc.). Questo aiuta a spiegare perché, nonostante un così massiccio ricorso alla mediazione obbligatoria (che non ha pari in nessun altro paese d’Europa) i risultati (dati del Ministero) siano tutt’altro che entusiasmanti: in più di dieci anni la percentuale di controversie definite si attesta su un modesto 16-17%, e l’efficienza della giustizia rimane sostanzialmente invariata (ma chi l’avrebbe mai detto!).

Capisco che oggi in Italia parlare di principî, e in particolare di principî costituzionali, faccia ridere i polli. Ma che lo Stato debba assicurare “la giustizia” è ancora previsto (art. 111 Costituzione). Se a governare fosse una persona normale, direbbe: ok, dobbiamo urgentemente riformare il nostro processo civile e renderlo efficiente, altrimenti non rispettiamo il dettato costituzionale. Invece dice: lasciamo che il processo continui a marcire, e spingiamo la gente a non usarlo. Scarichiamo su di te, caro cittadino, il costo ideale ed economico del nostro fallimento, perché pur di evitare le angherie di un processo farraginoso, costoso, lungo e anacronistico, medierai.

E’ un cocktail letale: subisco un torto, vorrei ottenere giustizia. Invece devo piegarmi (e perdere ulteriore tempo) a “mediare” (chissà poi perché dovrei mediare, se la controparte ha torto marcio??) davanti a un privato, competente o meno competente, sicuramente per legge non formato come un giudice. Il sistema non fa altro che agitarmi davanti al naso lo spauracchio di un processo lungo, costoso e inefficiente. Alla fine, preso per sfinimento, accetto di rinunciare a ciò che mi spetta e chiudere con una transazione al ribasso. Tutti felici, nella più democristiana delle tradizioni: cercavo giustizia, ho trovato la legge.

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