Duecentomila euro l’anno, spicciolo più spicciolo meno, per sovrintendere alla nazionale e farla eliminare dalla modesta Svizzera agli ottavi di Euro 2024, dopo la mancata qualificazione a Qatar 2022. Messo in questi termini venali e pragmatici, è ancora più evidente il fallimento di Gabriele Gravina. In prima fila con la coppa in mano nel 2021, quando si trattava di prendersi meriti che certo non erano suoi, forse non c’erano proprio (il campo ha dimostrato che l’Europeo vinto fu solo fortuna). Invece oggi che quel trionfo è un lontano ricordo e bisogna fare i conti con l’ennesima disfatta del nostro calcio, il presidente federale semplicemente fa spallucce. Eppure è lui il primo colpevole, e non solo in termini morali. Perché è proprio Gravina a volersi far pagare – e pure tanto – per il ruolo di responsabile delle nazionali azzurre. Di cui si prende solo gli onori, non gli oneri.
Come già dopo la Macedonia del Nord, ha ritirato fuori il suo vecchio cavallo di battaglia nella difesa strenua della poltrona: guai a confondere le responsabilità tecniche con quelle politiche. Lo aveva già detto alla vigilia del match, tanto per mettere le mani avanti, lo ha ribadito dopo la sconfitta, nell’imbarazzante conferenza stampa in cui ha accampato una serie di scuse. Lui è un manager – così almeno si sente, peccato la FederCalcio non sia la sua azienda – non va giudicato per i risultati sportivi, non si dimetterà per una sconfitta sul campo. Ragionamento condivisibile fino a un certo punto, che si inceppa sul più bello. Oltre alle svariate ragioni politiche per cui non può rimanere al suo posto (in 18 mesi ha collezionato due delle peggiori figuracce della storia del nostro calcio), o semplicemente ad un briciolo di dignità che gli imporrebbe di farsi da parte, c’è un argomento in più per cui Gravina non può far finta di nulla.
È in carica dal 2018, quando prese in mano la Figc commissariata proprio dopo la mancata qualificazioni ai Mondiali e l’addio del compianto Tavecchio (lui almeno ebbe la dignità di dimettersi, o fu costretto a farlo; lo stesso non si può dire di Gravina). In questi lunghissimi sei anni, ha realizzato poco o nulla per il pallone italiano. Della riforma promessa dei campionati neanche l’ombra. Di innovazioni concrete nemmeno. Anche la gestione della nazionale è stata sbagliata, perché il disastro di Spalletti viene da lontano, dal mancato esonero di Mancini e dalla sua fuga in Arabia la scorsa estate, che ha costretto a cambiare ct in corsa ed arrivare agli Europei completamente impreparati. Oggi il nostro calcio sta come o peggio di prima del suo arrivo.
In compenso, Gravina ha fatto tantissimo per se stesso. Ha annientato sistematicamente ogni avversario politico, ragione per cui oggi nessuno all’interno del mondo del pallone si alza per chiedere le sue dimissioni (dalla Serie C ai Dilettanti, dagli allenatori ai calciatori, sono tutti suoi alleati o uomini piazzati da lui). Si è costruito una fitta rete di relazioni a livello nazionale e internazionale, arrivando fino alla vicepresidenza della Uefa. Ha pensato anche e soprattutto al portafoglio: come rivelato in passato dal Fatto, nel 2021 Gravina si è auto-attribuito un maxi-stipendio da presidente federale. La cifra esatta non è mai stata divulgata (la trasparenza non è proprio di casa in Figc), fonti interne all’epoca parlarono di un compenso fino a 240mila euro l’anno, rispetto ai miseri 36mila euro previsti dal Coni. Ciò che è meno noto al grande pubblico è il giustificativo di questa retribuzione: formalmente, Gravina si fa pagare così tanto per il suo ruolo, tra gli altri, di presidente del “Club Italia”, cioè di massimo responsabile della struttura a capo della nazionale. Dei cui fallimenti oggi si lava le mani. Ma per farsi eliminare dalla Svizzera agli ottavi degli Europei, 200mila euro l’anno sembrano davvero troppi. Se non la poltrona, che almeno molli lo stipendio. Meglio ancora sarebbe entrambi.
L'articolo Gravina guadagna 200mila euro l’anno come “responsabile” della Nazionale: incassa e resta sulla poltrona anche dopo il disastro azzurro proviene da Il Fatto Quotidiano.