Giorgia Meloni si gioca peso politico e credibilità al prossimo Consiglio europeo di giovedì e venerdì. Col suo discorso alla Camera, la presidente del Consiglio è uscita allo scoperto e si è lanciata contro quell’asse franco-tedesco che ha in mano il timone del continente. L’idea di Parigi e Berlino di imporre i propri nomi per le quattro cariche apicali dell’Ue e chiedere a Roma di dire semplicemente ‘sì’ non è accettabile per la premier italiana. I partiti che guidano le cancellerie francese e tedesca sono usciti massacrati dalle ultime elezioni europee, per questo Meloni, che si propone come esponente di destra aperta al dialogo con le forze moderate, non vuole accettare una posizione subordinata. Ma l’offerta per lei, in termine di deleghe in Commissione, è allettante. Così la premier dovrà scegliere: accettare un piano favorevole ma non condiviso o pretendere di far parte del ristretto circolo di chi decide le più importanti cariche europee? Rilanciare, però, la espone a un enorme rischio: far naufragare questo accordo e rischiare di perdere la posizione guadagnata in Europa.
Non c’è più tempo per pensare. Tra meno di 24 ore la presidente del Consiglio si presenterà a Bruxelles per il Consiglio europeo nel quale si punta a chiudere la partita delle principali nomine Ue. I nomi rimangono gli stessi: Ursula von der Leyen (Ppe) confermata alla presidenza della Commissione, Roberta Metsola (Ppe) alla guida del Parlamento, Antonio Costa (Socialisti) a capo del Consiglio Ue e Kaja Kallas (Renew) come Alto rappresentante per la Politica Estera. In caso di fumata nera la situazione si complicherebbe molto: diventerebbe più difficile riuscire trovare un’intesa tra i 27 Stati membri, portarla in Parlamento, il 18 luglio, e ottenere l’approvazione dell’aula prima della pausa estiva. Un limite di tempo che la maggior parte delle formazioni vuol rispettare. Chi conosce le istituzioni europee sa bene che rimandare la discussione al termine dell’estate significherebbe con ogni probabilità far saltare tutti o gran parte dei nomi sui quali è stata trovata un’intesa di massima.
Il fattore tempo è quindi fondamentale per i gruppi che formano la cosiddetta maggioranza Ursula, Popolari, Socialisti e liberali di Renew, ma lo è anche per Giorgia Meloni e chi aspira a indebolire l’asse franco-tedesco. La strategia della presidente del Consiglio Ue e di una parte dei partiti conservatori e nazionalisti che siedono a Bruxelles prevede di trascinare la discussione oltre il 30 giugno, data nella quale si terranno le elezioni Politiche convocate dal presidente francese Emmanuel Macron. Una nuova débâcle di Renaissance, così come prospettato dai sondaggi che danno la formazione al 22%, con il Rassemblement National di Marine Le Pen al 34% e il Nuovo Fronte Popolare al 29%, indebolirebbe ulteriormente il ruolo del capo di Stato francese, anche in Europa, favorendo così chi come Meloni punta a rosicchiare spazio vitale in Consiglio Ue.
Per non arrivare a questo, nel pacchetto di nomine è compresa un’offerta che per l’Italia sarà molto difficile rifiutare. Il ministro degli Esteri, Antonio Tajani, lo ha ripetuto più volte: “Ci spetta un commissario di serie A e una vicepresidenza in Commissione”. Da quanto appreso da Ilfattoquotidiano.it, la proposta è la migliore possibile per Roma ed è già stata presentata, seppur informalmente: esprimere il commissario per il Bilancio e il Next Generation Eu, ruolo che sarebbe ricoperto probabilmente dall’attuale ministro per gli Affari Europei, il Sud, le Politiche di Coesione e il Pnrr, Raffaele Fitto. Nessuna indicazione su una possibile vicepresidenza, ma va ricordato che l’attuale commissario con questa delega, Johannes Hahn, è l’unico che risponde direttamente alla presidente Ursula von der Leyen e non a uno dei sette vicepresidenti.
Se accettasse l’offerta, l’Italia porterebbe a casa la poltrona di chi gestisce le erogazioni europee dei fondi destinati al Pnrr, dossier fondamentale per Roma. Certo, accettando nomine prestabilite in cambio dell’incarico, Meloni legittimerebbe la propria posizione subordinata rispetto ai partiti europei moderati e a Francia e Germania. Un escamotage per evitare di perdere la faccia potrebbe essere quello di ottenere piccole concessioni da rivendere all’opinione pubblica, con l’aiuto degli altri paesi Ue, facendole passare come conquiste in sede di contrattazione. Questo non risolverebbe, comunque, i problemi che si verrebbero a creare all’interno del gruppo dei Conservatori europei, esclusi da ogni tipo di trattativa. Una grana che, però, la leader di Fratelli d’Italia deve aver già previsto da quando ha capito che i suoi voti sarebbero stati determinanti per la formazione dei nuovi vertici Ue.
Fondamentale, in questa situazione, sarà l’opera di mediazione di von der Leyen che tratterà direttamente con la premier italiana. Ma lo sarà soprattutto la strategia che Meloni ha deciso di sposare. Accettare l’offerta (e le imposizioni) della ‘vecchia Ue‘ o portare avanti la sua guerra per stravolgerla? Il rischio, nel secondo caso, è quello di mettere definitivamente fine al suo processo di ‘normalizzazione‘ ed essere rigettata nel gruppo di quelli che l’establishment europeo considera partiti impresentabili.
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