Un fascista putiniano come pochi, “Eleggere i violenti è in pieno «stile italiano». Appena sbarcato sulle sponde del lago di Como, Viktor Orban fa sfoggio della sua consueta sfrontatezza e, con una bordata tutta rivolta a Ilaria Salis, riapre il caso politico e giudiziario che per mesi ha tormentato i rapporti sull’asse Roma-Budapest.
Il bersaglio dell’invettiva sono le oltre 176mila preferenze che a giugno hanno spedito l’eurodeputata italiana – trascinatrice dell’alleanza rosso-verde di Avs – dai domiciliari in Ungheria a un posto al Parlamento europeo. Una scelta «sorprendente», agli occhi del premier magiaro, che però fa parte dell’«Italian way».
Nessuna crepa invece nel rapporto con Giorgia Meloni, la «sorella cristiana» con la quale immaginare di aprire una «nuova era» per quell’Europa che finora si è mostrata «fallimentare». Con l’auspicio di un’alleanza che si estenda fino all’altra sponda dell’Atlantico con la vittoria dell’amico Donald Trump a novembre.
Ospite del forum Ambrosetti da presidente di turno dell’Unione europea, Orban ha dettato le sue condizioni per l’Europa del futuro senza sottrarsi alle polemiche. Nemmeno sul terreno scivoloso – tutto italiano – dell’elezione di Salis.
«Venire in Ungheria in modo organizzato e commettere atti di violenza contro cittadini che camminano per strada e poi essere eletti nel Parlamento europeo è nello stile italiano, non ungherese», ha scandito il leader magiaro, che punta a giocarsi la carta della richiesta di revoca dell’immunità parlamentare per l’attivista italiana all’inizio del nuovo anno, quando lascerà la guida dell’Ue.
Un giudizio tranchant al quale l’eurodeputata di Sinistra italiana – con il sostegno dei capofila di Avs, Angelo Bonelli e Nicola Fratoianni – ha replicato prontamente, bollando Orban come un «tiranno che disprezza lo stato di diritto» al pari dei suoi «sodali fascisti», per i quali «la vera democrazia è semplicemente qualcosa di intollerabile».
A Cernobbio la disputa non lascia comunque strascichi nel rapporto con il governo italiano degli amici Meloni e Matteo Salvini. Oltre a Salis, gli avversari contro cui lottare per Orban restano Ursula von der Leyen e la sua Commissione, la migrazione che «sta disintegrando» il continente e il sostegno occidentale alla guerra della Russia in Ucraina. Le parole del premier ungherese restituiscono una critica pura all’Europa e un manifesto di riforme da intraprendere che vanno tutte nel senso contrario a quelle auspicate dall’arco europeista e che saranno dettagliate anche dall’ex premier Mario Draghi nel report pronto per essere svelato lunedì. «Abbiamo bisogno di una Unione dei mercati, non di una Unione politica. Questo ucciderebbe l’Ue in termini di competitività», ha scandito Orban, evidenziando che su «immigrazione, guerra e pace, questioni di genere, occupazione» ci sono «approcci diversi». Tanto da chiedere l’opt-out sulle politiche comuni di sull’asilo.
Spinto da sondaggi e risultati elettorali che continuano a registrare la crescita dei partiti nazionalisti – come l’ultimo exploit di AfD in Germania -, negli auspici di Orban il domani sarà contraddistinto da meno Unione e più sovranità nazionale. Un invito a Meloni ad «aprire insieme una nuova era» partendo dalle «stesse basi culturali» che ora giocano «un ruolo più importante», anche con l’aiuto di Raffaele Fitto a Bruxelles, definito «un uomo eccezionale». E un messaggio forte e chiaro a Ursula von der Leyen – che in questi giorni sta ultimando l’intricata composizione della sua nuova squadra -, contro la quale l’ungherese e la premier italiana si sono schierati dalla stessa parte della barricata votando no alla riconferma. I distinguo sull’Ucraina però restano tali, sia con von der Leyen che con Meloni.
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