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Don Primo Mazzolari e la politica: un’eredità di giustizia e pace

di Antonio Salvati

Primo Mazzolari è stato fin da giovanissimo un cristiano inquieto, assai attento e coinvolto nel dibattito politico. Interprete di una decisa opposizione all’ideologia fascista e ad ogni forma di ingiustizia e di violenza, partecipò attivamente alla lotta di liberazione. Fu un convinto repubblicano in un’epoca nella quale questa posizione generalmente non apparteneva al bagaglio cattolico. Esiste un’ampia bibliografia sul profilo e sugli scritti del “parroco d’Italia”, la cui attività per tanto tempo fu invisa al Vaticano, che in più occasioni ne censurò pubblicazioni e scritti.

Su alcuni temi – la pace e il no alla guerra, l’obiezione di coscienza, i poveri, i diseredati, i carcerati… – don Mazzolari non ha mai mancato di offrire la sua riflessione con delle considerazioni di straordinaria e stringente attualità per l’Italia e il mondo di oggi.  È, pertanto, utile ritornare sul volume Don Primo Mazzolari, Come pecore in mezzo ai lupi (Chiarelettere, 2019, pp. 124, € 10,00) che attraverso una raccolta di discorsi, interventi, piccoli saggi e lettere (prodotti tra il 1940 e il 1955), esprime un bisogno di politica orientata al bene comune e tratta temi che non si esauriscono mai e che incidono sulla nostra vita quotidiana.

La vita del parroco di Bozzolo si intreccia frequentemente con il partito dei cattolici italiani. Un rapporto caratterizzato da un’aspettativa alta nei confronti della politica, a cui Mazzolari guardava con un atteggiamento partecipe ma anche esigente, sia dal punto di vista morale che da quello della richiesta di affrontare e risolvere i reali problemi del Paese. Un modo di intendere e pensare la politica di cui oggi si avverte fortemente l’importanza. Un volume, quindi, che aiuta a promuovere una riflessione sulla valorizzazione dell’eredità di Mazzolari nell’attuale contesto sociale e politico. Considerando anche che a cavallo tra il 2023 e il 2024 ricorre l’ottantesimo anniversario della nascita della Democrazia Cristiana, nonché il trentesimo del suo scioglimento. Non solo. Quest’anno sono 70 anni dalla morte di Alcide De Gasperi, uno dei padri o forse il più autorevole padre della Repubblica. È il presidente della ricostruzione di un Paese distrutto dalla guerra, ma anche il politico che dà solidità alle istituzioni democratiche, mentre una parte importante degli italiani (nonostante le amarezze della guerra) restava segnata dal fascismo o dall’educazione imposta dal regime alle giovani generazioni. Era un grande cristiano, che coltivava la sua vita interiore. Uomo di fede e di ideali, era anche un politico pragmatico: «Un amico con cui è possibile fare un compromesso senza rinunciare a una ragione di vita», lo definisce Einaudi. Dallo scoppio della Seconda guerra mondiale, era convinto che i cattolici dovessero giocare un ruolo decisivo nella politica italiana, come grande partito popolare di centro, riformista, appoggiato dalla Chiesa, senza cedere all’idea di un fronte anticomunista di centrodestra.

Per Mazzolari la politica, spesso ispirata e alimentata dal Vangelo, rappresenta un forte filo conduttore. Una politica esigente, non facoltativa; un impegno fatto di passioni che sa coinvolgere il cuore. Una politica che esige uno stile di vita coerente con gli ideali che la animano e che «ci impegnano, noi e non gli altri». È la grande forza trainante delle motivazioni ideali, della carità e dell’altruismo, che concepisce – ha osservato don Virginio Colmegna – «la gratuità come valore, il bene relazionale come capace di diventare impresa economica, di esprimere la capacità di costruire legami sociali veri. È una società plurale, dove anche tradizioni culturali diverse hanno ritrovato un solidale cammino comune».

È – la politica – anche una grande sfida educativa e formativa. La politica ci richiama all’arte di educare, ci fa fare i conti con la realtà e con le debolezze di agenzie che proclamano valori ma non si interrogano sul perché non riescono a suscitare consenso adeguato. Per questo è necessario riprendere in mano gli scritti di Mazzolari caratterizzati da un linguaggio non solo esortativo, ma di promozione sociale. Nessuno – sosteneva significativamente Mazzolari – di noi «può né vuole rimanere spettatore passivo o terrorizzato della fine di un mondo, come non può né vuole evadere in nessun modo, o per disgusto o per sbagliata difesa di se stesso. Come Sansone, siamo legati alle sorti di questo mondo fatiscente e rischiamo consapevolmente ogni cosa nostra nell’avventura di condurlo verso la sua conclusione provvidenziale. Un mondo finisce quando sull’orizzonte della storia appaiono uomini nuovi che ne raccolgono vitalmente l’eredità sciupata da amministratori infingardi o prodighi». I galantuomini di ieri – aggiunge Mazzolari – credevano di poter «salvare il mondo tappandosi in casa al primo rumore di folla. Ma la rivoluzione non la si fa dietro le griglie sprangate. Solo chi si misura nella folla col proprio cuore e confronta sulla strada e sulla barricata la propria anima, può sperare di essere ascoltato in un’ora non lontana, quando il pensar bene, disgiunto dal pagare di persona, non sarà neanche preso in considerazione».

Come non pensare all’impegno per la pace, per la promozione attiva della non violenza che don Mazzolari richiama – sua l’intuizione «se vuoi la pace, prepara la pace» -, soffrendo anche per il ritardo della Chiesa a non legittimare per nessun motivo la guerra. La sua radicalità profetica incontra la politica, la esige per non diventare semplicemente esortativa. Qui sta la sfida esaltante della politica, che non è arrendevolezza o semplice pragmatismo del possibile, ma cammino tra ostacoli, dove bisogna ritrovare il consenso senza sacrificare la ricerca di ciò che è giusto e riempire di interrogativi anche inquietanti, che ci spingono sempre a rientrare nella società civile, a stare tra la gente, per alimentare l’energia del cambiamento. La politica deve essere competente, plurale, deve pensarsi come servizio, gestendo il potere in modo responsabile, esprimendo professionalità, capacità anche di impresa e di sviluppo. Papa Francesco non si stanca di osservare che quella che stiamo vivendo non è semplicemente un’epoca di cambiamenti, ma un cambiamento di epoca in cui – come direbbe Vincenzo Paglia – i cambiamenti non sono più lineari, bensì epocali; impongono scelte «che trasformano velocemente il modo di vivere, di relazionarsi, di comunicare ed elaborare il pensiero, di rapportarsi tra le generazioni umane e di comprendere e di vivere la fede e la scienza».

In questo senso in Mazzolari troviamo esplicitato il pensiero di Papa Bergoglio sull’amore politico. Tutti gli impegni che derivano dalla dottrina sociale della Chiesa «sono attinti alla carità che, secondo l’insegnamento di Gesù, è la sintesi di tutta la Legge». Ciò richiede di riconoscere che «l’amore, pieno di piccoli gesti di cura reciproca, è anche civile e politico, e si manifesta in tutte le azioni che cercano di costruire un mondo migliore». Pertanto, l’amore si esprime non solo in relazioni intime e vicine, ma anche nelle «macro-relazioni: rapporti sociali, economici, politici». Un amore che scaturisce dal confronto con un mondo complesso e caotico, in cui tutti, nel nostro piccolo, dobbiamo saper decifrare da dove veniamo e, soprattutto, che sta accadendo attorno a noi. In perenne dialogo con gli uomini e le donne di questo mondo. Qualche anno fa papa Francesco affermò: «il mondo soffoca per mancanza di dialogo». C’è bisogno di cultura, dibattito, ricerca, dialogo. Paolo VI nella Popolorum progressio fa un’affermazione importante, che è molto attuale: «il mondo soffre per mancanza di pensiero». Proprio di fronte alle frontiere sconfinate del mondo globale, delle nuove scienze e tecnologie. Paolo VI, in quel testo lanciava un’idea, che non fu raccolta, ma interessante: «noi convochiamo gli uomini di riflessione e di pensiero, cattolici, cristiani, quelli che onorano Dio, che sono assetati di assoluto, di giustizia e di verità: tutti gli uomini di buona volontà». Un sogno lontano. Oggi però di fronte a questo mondo dell’io, fragile e fluido, in cui oggi sono una cosa, domani un’altra, come di fronte agli sconfinati orizzonti del mondo, c’è necessità – ha sostenuto recentemente Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio – di «“una fede pensata”, non un sistema chiuso, ma una bussola si speranza che non tema la mobilità del nostro tempo». C’è bisogno di pensare la fede e – aggiunge Riccardi – «c’è bisogno di cultura storica. Perché se è vero che non è un dogma che la storia sia magistra vitae, è altrettanto vero che oggi spesso ci aggiriamo nella storia come gattini ciechi, senza sapere cosa sia successo prima, ma anche a quello che sta per succedere. Pensiamo alla guerra e alla riabilitazione della cultura del conflitto. Sta morendo la generazione che ha vissuto la Seconda guerra mondiale, i testimoni della Shoah, ed eccoci davanti a un mondo che sta smarrendo la cultura della pace». Come dire ogni operazione culturale nasce da una grande passione e «diciamo anche dalla grande passione scatenata dalla fede. La cultura è capire, è provare a cambiare, è sapere da dove si viene. E allora il vero problema è risvegliare fede e passione, dalle quali nasce la ricerca».

Il cardinale Matteo Zuppi, intervenendo alla recente50ª Settimana Sociale dei Cattolici in Italia, ha espresso pieno ottimismo circa la possibilità dei cattolici italiani di essere protagonisti nel costruire una democrazia inclusiva, dove nessuno sia scartato o venga lasciato indietro. Anche, «per questo, dobbiamo essere più gioiosamente e semplicemente cristiani, disarmati perché l’unica forza è quella dell’amore». La partecipazione, cuore della nostra Costituzione, – aggiunge Zuppi – «consente e richiede la fioritura umana dei singoli e della società, accresce il senso di appartenenza, educa ad avere un cuore che batte con gli altri, pur tra le differenze. Quando la gente si sente parte, avviene il miracolo dell’umanizzazione dei rapporti sociali ed economici: ciò si realizza nei corpi intermedi, nelle istituzioni, sui territori, nelle grandi aree metropolitane e nelle aree interne, al Nord come al Sud». Un pensiero lungo e saggio che viene da lontano. Anche da don Mazzolari.

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