Altro che crittografia end-to-end, altro che sicurezza della comunicazione. La vicenda che ha riguardato recentemente Pavel Durov (l’arresto in Francia del fondatore e proprietario di Telegram, le rimostranze della Russia per la detenzione, la sua scarcerazione su cauzione) hanno messo sul chi va là gli abituali utilizzatori del servizio di messaggistica istantanea che, negli scorsi anni, aveva mostrato più volte indipendenza rispetto alle istituzioni di Mosca, ma su cui – recentemente – sono stati avanzati alcuni dubbi. Questioni, evidentemente, prese in considerazione anche dalle autorità ucraine, dal momento che queste ultime hanno deciso – qualche giorno fa – di bloccare l’utilizzo di Telegram da parte dei funzionari di governo e delle persone con responsabilità: si temono, infatti, accessi indesiderati dalla Russia, dove l’app continua a essere utilizzata (nonostante, in passato, ci fossero state delle tensioni tra autorità e board di Telegram) e dove, anzi, rappresenta la principale fonte di comunicazione sul campo per l’esercito russo. Segnale inequivocabile che, dopo gli screzi tra Putin e Durov, qualcosa deve essere cambiato nei rapporti di forza tra lo stato russo e la società che ha creato la popolarissima (anche in occidente) app di messaggistica istantanea. Anche il divieto di Kiev per i suoi funzionari rappresenta l’ennesimo atto di una guerra ibrida russo-ucraina che, negli ultimi giorni, si sta facendo sempre più intensa.
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Mentre alcuni uffici governativi avevano già seguito qualche settimana fa il suggerimento del Centro di coordinamento della sicurezza informatica ucraina (che aveva chiesto di bloccare Telegram sui device utilizzati per lavoro), il parlamento lo ha stabilito nelle ultime ore. A parlare di questa scelta è stato Yaroslav Yurchishin, che coordina la commissione parlamentare sulla libertà di espressione. Ha affermato, sostanzialmente, che la minaccia è rappresentata dal possibile accesso a informazioni, attraverso Telegram, di apparati russi (cosa, peraltro, che in maniera indiretta si era già verificata in passato). Il divieto, va precisato, si applica esclusivamente ai dispositivi utilizzati per motivi di lavoro, mentre sui propri mezzi privati funzionari e parlamentari potranno continuare a usare Telegram, purché questa attività non preveda intersezioni con la prassi lavorativa.
Una decisione, insomma, che ricalca quella presa negli Stati Uniti e nell’Unione Europea – sempre per i funzionari – relativamente all’utilizzo di TikTok sui dispositivi utilizzati per lavoro (anche in quel caso, il timore è quello di un accesso di un’autorità governativa, attraverso la piattaforma cinese, a dati sensibili custoditi all’interno dei device degli utenti). Telegram, in passato, è sempre stata considerata una sorta di mosca bianca all’interno dell’ecosistema mass-mediatico russo: sebbene la proprietà fosse di Pavel Durov, l’indipendenza più volte sbandierata da quest’ultimo rispetto al Cremlino (e le stesse frizioni con il Cremlino che più volte ha ostacolato l’applicazione con limitazioni) aveva permesso a Telegram di affermarsi senza problemi come mezzo di comunicazione anche in Ucraina, nonostante il conflitto. Le ultime vicende dell’arresto di Pavel Durov, il possibile incontro (su cui c’è un alone di mistero) tra quest’ultimo e Putin prima del fermo in Francia, la posizione di arrocco che ha adottato Mosca per fare quadrato intorno al potente numero uno di Telegram devono aver fatto cambiare idea a molti. E così, dopo funzionari governativi e militari, il blocco di Telegram è arrivato anche per i parlamentari di Kiev.
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