Proprio mentre alla Camera andava in scena l’ennesimo voto di fiducia di questa legislatura per l’approvazione del cosiddetto “decreto Omnibus” – all’interno del quale erano presenti due emendamenti che hanno modificato l’impianto attuale del funzionamento del Piracy Shield -, il calcio italiano ha deciso di alzare il tiro. Oltre alla lotta alla pirateria (legittima, ma affrontata in modo completamente sbagliato), ora il mirino è stato puntato sui sistemi di pagamento. In che modo? Questo sembra essere un mistero racchiuso in una dichiarazione confusa e disordinata.
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Dopo il via libera al Senato dei giorni scorsi e quello di giovedì 3 ottobre alla Camera – sempre con il voto di fiducia – le modifiche al Piracy Shield sono passate dall’essere due emendamenti a parti integranti della legge italiana (qui il testo delle modifiche, all’articolo 6-bis e 6-ter). Ma questo sembra non bastare alla Lega di Serie A che ora ha alzato il tiro. O, almeno, questo è ciò che ha detto l’amministratore delegato Luigi De Siervo al grido di «paghiamo tutti, paghiamo meno».
Nel corso dell’evento “Forbes Italia Sport & Innovation” (qui il video, con la controversa dichiarazione pronunciata allo scoccare di 1 ora e 39 minuti) che si è tenuto a Milano, Luigi De Siervo – sul palco in compagnia dell’amministratore delegato di DAZN (Stefano Azzi) – ha ribadito ciò che aveva già spiegato negli scorsi mesi:
«Abbiamo una piattaforma che è Piracy Shield che è gestita dalla autorità per le comunicazioni che è in grado su segnalazione anche nostra di poter intervenire e in alcuni minuti il sito pirata viene spento. Il tentativo è cercare di ottenere che chi usufruisce di un contenuto lo paghi un prezzo giusto. Se paghiamo tutti pagheremo evidentemente meno».
Ma questo sembra non bastare al calcio italiano che sostiene di registrare perdite per circa 300 milioni di euro l’anno a causa della pirateria e del cosiddetto “pezzotto”. E dopo aver puntato il dito contro i motori di ricerca – con un particolare riferimento a Google – ecco che sullo sfondo inizia a comparire una grande ombra: colpire i sistemi di pagamento. Non quelli in “criptovalute” o quelli meno utilizzati e conosciuti, ma quelli che utilizziamo nella nostra quotidianità. In che modo? Non si sa:
«Tenete conto che in questi giorni stiamo attaccando un sistema importante di pagamento che usiamo tutti i giorni quando andiamo al bar perché la catena di pirati utilizza tutta una serie di soggetti che invece hanno una credibilità, come anche i motori di ricerca».
Cosa faranno? Limiteranno la possibilità di effettuare pagamenti elettronici attraverso servizi specifici (Satispay e PayPal, per esempio)? Sarà prodotto un elenco di “soggetti sospetti” verso cui i PSP (i fornitori dei servizi di pagamento) dovranno impedire la ricezione di denaro? Questo è tutto un mistero, figlio di parole confuse e disordinate.
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