Il segretario del Pd Enrico Letta lo ricorda con una delle sue frasi: «La mafia uccide. Il silenzio pure»
«La mafia uccide. Il silenzio pure». Era questa una delle frasi di Peppino Impastato, giornalista ucciso dalla mafia il 9 maggio 1978 a Cinisi, in provincia di Palermo. E con questa frase lo ha ricordato su Twitter il segretario del Pd Enrico Letta.
“La mafia uccide. Il silenzio pure”Peppino #Impastato. #9maggio pic.twitter.com/8wFIFtyzV8
— Enrico Letta (@EnricoLetta) May 9, 2022
Per il sindaco di Palermo Leoluca Orlando, «l'esperienza umana e culturale di Peppino Impastato è un invito a tutti a rifiutare i condizionamenti criminali. È un inno alla libertà, al recupero della dignità umana. La storia di Impastato ci ha insegnato, anche, a non smettere mai di cercare la verità, a lottare per ottenerla. Una verità che per troppo tempo è stata allontanata da un depistaggio ordito da pezzi dello Stato. Impastato pagò con la vita l'avere sfidato la mafia in un territorio in cui si era stabilito un sistema di relazioni tra apparati dello Stato e mafiosi che governavano la Sicilia». E ancora: «La sua figura rimane un punto di riferimento per quanti hanno scelto di schierarsi contro la mafia e i suoi legami con la politica, facendo scelte di rottura senza compromessi. Il recupero del Casolare dove fu ucciso è un ulteriore contributo alla gratitudine e alla ammirazione da parte di tutti e uno stimolo anche di conoscenza dell'impegno per i diritti delle future generazioni».
La storia di Peppino Impastato
Peppino Impastato era nato a Cinisi il 5 gennaio del 1948 da una famiglia vicina agli ambienti mafiosi locali: il padre Luigi era stato inviato al confino durante il periodo fascista, una zia di Peppino, sorella del padre, aveva sposato il capomafia Cesare Manzella, noto per aver “sdoganato” il traffico di droga come fonte di guadagno. Peppino però era distante dalle amicizie della famiglia, anche per quel suo fervore politico – che negli anni del liceo classico di Partinico divenne attivismo – e la sua passione giornalistica: giovanissimo, nel 1965, fondò il giornalismo L’Idea Socialista, che nel giro di poco tempo venne sequestrato. Impastato aderì al Psiup, il Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria. Intanto, i rapporti con il padre si interruppero, fino a che Peppino venne cacciato di casa (con grande dolore della madre Felicia Bartolotta, con cui ebbe sempre un buon rapporto).
Nel 1968 Impastato partecipa alle lotte studentesche. Nel suo diario annoterà: «Il '68 mi prese quasi alla sprovvista. Partecipai disordinatamente alle lotte studentesche e alle prime occupazioni. Poi l'adesione, ancora una volta su un piano più emozionale che politico, alle tesi di uno dei tanti gruppi marxisti-leninisti, la Lega… Passavo, con continuità ininterrotta da fasi di cupa disperazione a momenti di autentica esaltazione e capacità creativa: la costruzione di un vastissimo movimento d'opinione a livello giovanile, il proliferare delle sedi di partito nella zona, le prime esperienze di lotta di quartiere, stavano lì a dimostrarlo…».
Nel 1975 organizza il Circolo “Musica e Cultura”, che promuoveva attività culturali e musicali: in breve tempo l’associazione divenne il principale punto di riferimento per i giovani di Cinisi. Ma la svolta per Impastato arriva nel 1977 quando fonda Radio Aut, emittente autofinanziata che si basava sulla controinformazione e soprattutto sulla satira verso i mafiosi locali: il preferito era Gaetano Badalamenti, che Impastato chiamava “Tano Seduto” – e che viveva a soli cento passi dalla casa dei genitori di Peppino – un personaggio che aveva un ruolo di primo piano nei traffici internazionali di droga, attraverso il controllo dell'aeroporto di Punta Raisi. Il programma più seguito e amato era però “Mafiopoli”. tenuto proprio da Peppino, che si divertiva a sbeffeggiare mafiosi e politici collusi con la criminalità.
Ma Impastato era anche un giornalista e come tale faceva diverse inchieste. La più importante resta quella sulla strage di Alcamo Marina, in cui morirono due carabinieri. Dell’assassinio vennero accusati cinque giovani del posto ma – scoprirà Impastato – questi furono torturati per estorcere confessioni. Nel 1978 si candida con una lista che aveva il simbolo di Democrazia Proletaria alle elezioni comunali a Cinisi. Ma non farà in tempo a sapere l’esito: nella notte tra l’8 e il 9 maggio – poche ore prima del ritrovamento del corpo di Aldo Moro in via Caetani a Roma – viene ucciso, a soli 30 anni, con una carica di tritolo messa sui binari della ferrovia di Cinisi. Il suo corpo, a brandelli, viene ritrovato e riconosciuto dagli amici: per anni si è raccontato che Impastato si era ucciso.
La vicenda giudiziaria
Sarà grazie al lavoro del giudice Consigliere istruttore Rocco Chinnici, che aveva concepito e avviato il lavoro del primo pool antimafia ed era stato assassinato nel luglio del 1983, una sentenza di Antonino Caponnetto, sostituto di Chinnici, stabilì che Impastato morì per mano della mafia: ignoti, purtroppo, rimasero però gli autori del delitto.
Solo nel 1996, grazie alla madre Felicia e al fratello Giovanni, venne riaperto il caso chiedendo che venisse interrogato il nuovo collaboratore di giustizia Salvatore Palazzolo, affiliato alla cosca mafiosa di Cinisi. E l’anno dopo venne emesso un ordine di cattura per Gaetano Badalamenti, incriminato come mandante del delitto. Il 5 marzo 2001 arriva la sentenza: la Corte d'assise riconosce Vito Palazzolo colpevole e lo conda a trent'anni di reclusione. L'11 aprile 2002 anche Gaetano Badalamenti viene riconosciuto colpevole e condannato all'ergastolo.