PARMA Ripercorrere con una mostra due secoli di storia, mecenatismo, committenze artistiche, collezionismo di una dinastia che tra Cinque e Settecento si affermò nella compagine politica e culturale europea è impresa non facile che a Parma è riuscita con l’esposizione dedicata a “I Farnese architettura arte potere”, allestita nel complesso monumentale della Pilotta dal direttore Simone Verde grazie anche a numerose collaborazioni di qualificati studiosi.
Il percorso si articola in nuovi spazi di recente sottoposti a restauro e consente anche di attraversare la Galleria Nazionale, rivisitare il Teatro Farnese, inaugurato nel 1628, che ancora oggi stupisce per la sua magnificenza. Nella Galleria Petitot la sezione dedicata alla “Galleria delle cose rare di Parma” evoca quella camera delle meraviglie voluta da Ranuccio II Farnese, sesto Duca di Parma e Piacenza, il cui busto elegantemente scolpito da Gian Lorenzo Bernini accoglie il visitatore all’ingresso per ricordare quel Duca che trasferì da Roma in Emilia gran parte del patrimonio accumulato. Sull’esempio delle gallerie allestite presso le principali corti italiane ed europee tra XVI e XVIII secolo, in questa sezione sono esposti alcuni di quegli oggetti di meraviglia, in avorio, cristallo di rocca, argento dorato o pietre dure come la Tazza Farnese del I-II secolo a. C. scolpita in agata sardonica, il più grande cammeo esistente al mondo, insieme con dipinti di grande valore artistico come la Danae di Tiziano dalla forte carica erotica.
All’inizio della mostra l’albero genealogico ricostruisce la storia della dinastia, la cui antica origine risale a una famiglia longobarda di Orvieto e il cui nome deriva da Castrum Farneti (oggi Farnese) del quale erano signori dal secolo XI.
Il pontefice Paolo III, di cui Tiziano dipinse un eloquente ritratto in mostra, concedendo al figlio Pier Luigi nel 1545 Parma e Piacenza, ubicate al margine nord dello Stato Pontificio, fece la fortuna dalla famiglia Farnese, che rimase per due secoli al governo del Ducato emiliano dando corpo a un’identità culturale e artistica pari a quella delle corti italiane ed europee. Un rarissimo mosaico di piume atzeco con pigmenti d’oro raffigurante il miracolo della Messa di San Gregorio realizzato nel 1539, per Paolo III, come si legge nell’iscrizione, su commissione di Diego de Alvarado Huanitzin governatore di Città del Messico e del frate francescano fiammingo Pedro de Gante, esposto per la prima volta in Italia, vuole proiettare la storia del collezionismo Farnese in una dimensione “globale” ricordando come il Pontefice, a fronte del dilagante potere dell’imperatore Carlo V, volle allargare gli orizzonti culturali e ideologici. Non solo con la bolla “Sublimis Deus” del 1537 per la prima volta aveva stabilito il diritto delle popolazioni autoctone americane a essere considerate parte del genere umano, ma anche approvando la regola della Compagnia di Gesù, dedicata all’evangelizzazione di nuovi popoli.
Dopo l’assassinio di Pier Luigi Farnese nel 1547 i due fratelli, Alessandro e Ottavio, raffigurati nel grande dipinto che li celebra in veste di cardinali come fondatori della chiesa del Gesù a Roma, riconquistarono il potere che Ottavio, secondo duca, mantenne saldamente come i suoi successori.
Una intera sezione è dedicata alle residenze farnesiane, non solo quelle di Castro o di altri luoghi dell’Italia Centrale come Caprarola che Jacopo Barozzi detto il Vignola, come si può vedere dai suoi accurati disegni, ha saputo incastonare mirabilmente nel paesaggio urbano e naturale circostante, ma anche quelle urbane di Parma e Piacenza, documentate attraverso una serie di disegni di progetti, come le otto tavole del Palazzo di Piacenza realizzate dallo stesso Barozzi e messe in bella copia dal figlio Giacinto. Alla passione che i Farnese, al pari di altre corti italiane ed europee, nutrivano per la musica è dedicata videoinstallazione di Enrico Onofri, direttore della filarmonica Toscanini, che fa immergere il visitatore, circondato da libretti musicali, nell’ascolto dell’esecuzione di una pagina di Marco Uccellini, compositore e violinista virtuoso, maestro di cappella alla corte di Ranuccio II.
Un’ ultima sezione testimonia, attraverso una serie di rilievi, l’attenzione che i Farnese dedicarono non solo alle mappe che venivano diffuse nelle corti e negli atlanti, ma anche a un’accurata descrizione del territorio, dei corsi d’acqua e delle opere realizzate per la loro regimazione, indispensabile per esercitare un’attenta politica di governo.
Un dettagliato catalogo descrive e documenta storia politica, mecenatismo e collezioni farnesiane che, dopo l’estinzione della casata a seguito della morte del duca Antonio, ultimo erede maschio, vennero trasferite a Napoli su iniziativa di Carlo V di Borbone. La mostra chiude il 31 luglio.