«Mi sono saliti in auto e mi hanno picchiato, volevano 100mila euro». Sembra un film di mafia americana e gli ingredienti ci sono tutti: una questione di soldi, un debito non saldato, una vittima e gli scagnozzi che con metodi malavitosi vanno a mettere paura. Poi però c’è la realtà che andrà valutata da un giudice – la dottoressa Antonella Pini Bentivoglio – che dovrà esprimersi sul ruolo dei tre presunti aggressori e sull’attendibilità della vittima.
Ieri mattina è infatti approdato in udienza preliminare in tribunale a Modena una vicenda nata dalla denuncia di un imprenditore che ha raccontato alla polizia di Stato di aver subito una tentata estorsione da parte dei tre finiti sotto indagine. Nel suo raccontato si parla di un presunto debito maturato negli anni quando ancora collaborava con uno dei tre aggressori. «Mi sono saliti in auto di fronte alla stazione dei treni dove ci eravamo dati appuntamento – ha sostanzialmente riferito agli investigatori – Uno davanti e gli altri due dietro. Volevano i soldi, 100mila euro».
Al rifiuto di consegnare quella somma maturata in un contesto ancora non ben chiaro e definito, è stato vittima di un pestaggio fino a quando è riuscito a fuggire dall’auto mentre gli altri si sarebbero allontanati a piedi. Già su questo aspetto gli avvocati difensori sono pronti a mettere in discussione la narrazione, ritenendo suggestiva la possibilità che la vittima fosse riuscita ad allontanarsi durante una accesa discussione intorno a cui ruota un debito presunto di 100mila euro.
Fatto sta che l’aggredito decide di recarsi nei giorni successivi al pronto soccorso, raccontando di pugni alla testa e allo sterno e finendo per essere dimesso con pochi giorni di prognosi. Quelle refertazioni finiranno nel fascicolo d’indagine entro cui si è mossa la procura nel disporre ulteriori verifiche sulle parti coinvolte, utili a delineare il quadro probatorio che dovrà essere vagliato dal giudice Pini Bentivoglio.
Nell’udienza di ieri, subito rinviata, va annotato come la parte civile non si sia presentata. Avrà la possibilità di farlo in futuro in caso di rinvio a giudizio e apertura del dibattimento ma la scelta di non costituirsi, a fronte di un accusa così circostanziata e che oltre alla tentata estorsione comprende anche le minacce, appare quantomeno irrituale.
Ma come facevano la vittima e i componenti della banda a conoscersi? Il presunto capo risulta risiedere a Genova dove da anni fa l’operaio dopo aver lavorato per diverso tempo anche in Umbria; il secondo del gruppo vive invece nel Modenese e nel circoscriverne il ruolo si potrebbe indicarlo come il mediatore; il terzo è invece coinvolto in qualità di manovale. Colui che ha denunciato l’aggressione gravita invece sul territorio mantovano dove si trova da oltre una decina di anni e dove è conosciuto per diversi servizi che svolge per conto della comunità cinese: pratiche burocratiche, agevolazioni e facilitazioni per documenti.
In fase di udienza si indagherà il contesto delle frequentazioni e delle conoscenze per capire se il racconto della presunta vittima sia credibile o meno. Emerge infatti che vi siano altri procedimenti pendenti a parti invertite ossia dove l’estorto risulti essere indicato come l’ideatore di un raggiro economico ai danni di uno dei tre aggressori. C’è un nesso causale tra le due vicende? Sarà compito del giudice valutare nel dettaglio tutto il quadro e poi indicare una strada per una vicenda comunque inquietante da qualsiasi lato la si guardi.
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