Si temono nuove rivolte. Disordini di piazza dove potrebbero inserirsi i movimenti islamisti. Un ritorno di fiamma del terrorismo. L’Egitto, con i suoi 100 milioni di abitanti, assorbiva il 31% del grano russo
I nostri servizi segreti sono molto, ma davvero molto preoccupati per le ricadute della guerra in Ucraina. Se ne trova l’eco nei ragionamenti dei membri del Copasir, lo speciale Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica. Diceva ad esempio qualche giorno fa l’onorevole Enrico Borghi, Pd: «Tra onda lunga del Covid e crisi alimentare, siccità e costi energetici, è in pericolo la stabilità del Nord Africa. E nel Mediterraneo rischiamo di andare incontro alla tempesta perfetta».
Borghi ne ha parlato in un seminario tenuto a porte chiuse, organizzato da tre fondazioni (FareFuturo, International Republican Institute, Comitato Atlantico Italiano) che aveva per tema «L'Alleanza atlantica. La crisi ucraina e la sicurezza euro-mediterranea». Ebbene, sul futuro della sicurezza euro-mediterranea, Borghi la vede nera. «Partiamo dalla storia: dieci anni fa, le Primavere arabe furono innescate dall’aumento del prezzo del pane. Ora, per via dell’invasione russa dell’Ucraina, non si potrà fare affidamento sul granaio ucraino e anche quello russo è in forse. Bisogna sapere, però, che l’Egitto, con i suoi 100 milioni di abitanti, assorbiva il 31% del grano russo. Il problema si pone in tutto il Nord Africa: Tunisia, Algeria, Marocco. Se venisse meno l’approvvigionamento di grano russo, ci sarà un serio pericolo di instabilità in tutte queste nazioni. Ma c’è di peggio. C’è il combinato disposto di crisi del turismo dovuto al Covid, il caro-energia che colpisce anche lì, e la siccità che sta mettendo in ginocchio l’agricoltura dell’Africa. C’è un rischio oggettivo di tensioni sociali».
Si temono nuove rivolte, insomma. Disordini di piazza dove potrebbero inserirsi i movimenti islamisti. Un ritorno di fiamma del terrorismo. E soprattutto si teme un’ondata migratoria senza precedenti che inevitabilmente colpirà le coste del nostro Paese. E’ per questo motivo che Borghi insiste: “L’Egitto ha 100 milioni di abitanti. Insomma, non possiamo dimenticare a Est la guerra in Ucraina, ma guai a dimenticare il Sud. Oltretutto le due crisi si toccano perché ci sono i mercenari russi in Libia. E poi basta guardare quanti e quali Paesi africani si sono astenuti sulla risoluzione di condanna dell’invasione russa alle Nazioni Unite. L’Eritrea ha votato con la Russia. Abbiamo notizia di vendite di armi russe in Etiopia, dove c’è una guerra civile ormai permanente. Nel Sahel, ai colpi di Stato segue la penetrazione dei contractor russi della società Wagner. Il rischio, insomma, è quello di una destabilizzazione generale del Mediterraneo allargato”.
L’analisi di Borghi è sovrapponibile a quella di Adolfo Urso, senatore di Fratelli d’Italia, che è presidente del Copasir e organizzatore del seminario attraverso la fondazione FareFuturo: “L'invasione russa in Ucraina rappresenta un salto nella storia, un passaggio decisivo - commenta - che impone all'Europa e alla stessa Nato di rivedere le proprie strategie di difesa. Dovrà tenere conto della complessità e delle interdipendenze tra le diverse aree geografiche. In questo contesto si pone per l'Italia la necessità di avere un ruolo positivo e propulsivo, perché siamo in prima linea e perché è nel Mediterraneo allargato che si gioca il destino delle democrazie occidentali rispetto alla sfida lanciata dai sistemi politici autoritari come Russia e Cina. Una sfida che oggi, purtroppo, passa anche attraverso la cosiddetta guerra ibrida”.
Nato e Ue sono anche nella riflessione Fabrizio Luciolli, presidente Comitato Atlantico Italiano, un think-tank collegato all’Alleanza atlantica : «Occorre una Nato con una maggiore responsabilità europea. L'intervento russo in Ucraina impone all'Unione europea di raccogliere la sfida per rafforzare la sua dimensione di sicurezza e difesa, e quindi anche una maggiore unità politica. Tutto ciò però passa anche per una complementarità molto stretta con la stessa Nato, per cui può non essere scontato dire che occorra una Nato europea o molto più europea».