Tra le tante immagini dall’Ucraina di ieri c’è una piccola scena che arriva dal fronte meridionale dell’invasione, e sembra uscita da un racconto di Gogol, o da "Guerra e pace": ripresi da un telefonino, in quello che sembra un pollaio piantato in mezzo a una discarica, di vedono tre soldati russi, quatti e furtivi, alle prese con delle galline. Infilano in un sacco le più lente, inseguono le altre a mani nude, finché il più sveglio e brutale del terzetto afferra un bastone e inizia a menare colpi a destra e sinistra, spiaccicando al suolo le povere bestie. Nella loro barbara semplicità, i tre soldati spinti dalla fame sembrano venire da un’epoca lontana, ci ricordano il tempo in qui non esistevano i ponti aerei, le strade asfaltate, i camion militari, e l’unico modo per assicurare i rifornimenti alle truppe distanti da casa era scatenarle in razzie sul suolo nemico. Non serve un analista militare per dirci che la Russia può avere veloci carri armati, armamenti sofisticati, bombardieri invisibili, un arsenale nucleare in grado di spaventare il mondo, ma poi la guerra, specie se d’invasione, la fanno gli uomini. E se un Paese in guerra dimentica di sfamare i suoi uomini, e li costringe a rubare galline, vuol dire forse che ha attraversato i secoli - passando dallo zarismo allo stalinismo, e poi a una modernizzazione priva di modernità - restando ancorato ai suoi antichi vizi: l’inefficienza, la lentezza, la corruzione, l’ingiustizia, l’ignoranza. E come conseguenza di tutto questo l’abisso di condizione tra lo zar e i suoi sudditi, ben rappresentato dal confronto (che chiunque può fare su Youtube) tra la reggia sul Mar Nero di Putin - con i suoi 14mila metri quadrati di estensione e annessi teatro, casinò, campo da hockey su ghiaccio, allevamento di ostriche e svariate piscine - e quei tre ladri di polli in mimetica, che rischiano la vita dentro una guerra che forse nemmeno capiscono. Non c’è peggior insulto che dare a qualcuno del "rubagalline", cioè ultimo dei ladri. Fossi nei panni del Presidente Zelensky quel video lo diffonderei con tutti i mezzi possibili tra i miei connazionali, e forse riscoprirei la mia vena comica per strappare loro un sorriso: non c’è nulla che possa galvanizzare un popolo sotto attacco come coprire di ridicolo l’invasore, scoprire in pochi fotogrammi la sua mediocrità, la sua incurabile e antica miseria.
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