Stiamo tornando precipitosamente alla Guerra Fredda. Fu per decenni il simbolo della difficile comunicazione tra Cremlino e Casa Bianca
Il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti ha proposto alla controparte russa di creare una linea di comunicazione speciale per la crisi in Ucraina. Lo ha riferito il sito di informazione “Politico” citando fonti del Pentagono, secondo le quali da Mosca non sarebbe ancora giunta alcuna risposta. «Abbiamo detto ai russi che riteniamo necessario un canale a livello operativo in modo da evitare errori di calcolo», ha detto un funzionario militare. Un possibile modello per tale canale di comunicazione, spiega la testata, è la linea stabilita dalle due potenze nucleari nel 2015 per prevenire scontri tra le loro truppe durante le operazioni in Siria.
Stiamo tornando precipitosamente alla Guerra Fredda. E anche ai suoi strumenti: il Telefono Rosso fu forse per decenni il simbolo della difficile comunicazione tra i due avversari. La linea dedicata e criptata tra il Cremlino e la Casa Bianca (anche se in verità passa per il Pentagono, il ministero della Difesa statunitense) per comunicare direttamente in momenti di tensione.
Un passo indietro di almeno sessant’anni. Giugno 1963. Al Cremlino sedeva l’irascibile Nikita Kruscev. Alla Casa Bianca, John Fitzgerald Kennedy. Tra le due superpotenze era una gara a tutto campo. Nel 1961, i sovietici erano riusciti a mandare il primo uomo nello spazio. Gli americani organizzano un fallito colpo di Stato a Cuba, con la famosa invasione alla Baia dei porci. L’anno seguente la tensione andò alle stelle. Cuba si rivolse all’Urss per aiuti a tutto campo. E i sovietici installarono segretamente missili a testata nucleare che a questo punto minacciavano direttamente gli Stati Uniti. Non che gli americani stessero fermi: missili a stelle e strisce erano in Turchia, un bastione della Nato al confine meridionale dell’Urss.
Mai come in quell’inverno del 1962 si andò vicini alla Terza guerra mondiale. Come sappiamo, un attimo prima dell’irreparabile, i missili sovietici furono ritirati. In cambio, gli Stati Uniti riportarono a casa i loro missili stanziati in Turchia. Qualche mese dopo, il 20 giugno del 1963, a Ginevra, in Svizzera, Usa e Urss firmarono il Memorandum d’intesa riguardo all’implementazione di una linea di comunicazione diretta.
Lo chiamarono da subito Telefono Rosso. Ma non era un telefono, tantomeno rosso. In origine erano otto telescriventi, quattro per Paese, in abbondanza per non correre il rischio che ci fosse un blackout, per trasmettere messaggi di testo attraverso la rete telegrafica. Le telescriventi erano un sistema molto sicuro per quel tempo. Furono rimpiazzate con i fax nel 1988. Successivamente, nel 2008, è subentrato un sistema informatico criptato, basato su satelliti e su un cavo in fibra ottica. Anche in questo caso, per andare sul sicuro, si utilizza una costellazione di satelliti americana e una russa, gli Intelsat e i Molniya.
Il 30 agosto 1963 è ricordata la prima comunicazione di prova fra Washington e Mosca. La Casa Bianca scrisse: «The quick brown fox jumped over the lazy dog’s back 1234567890» (La veloce volpe marrone saltò sopra la schiena del cane pigro). Era stata scelta una frase che contiene tutte le lettere e tutti i numeri dell’alfabeto latino, per testare il funzionamento dei tasti della telescrivente. I russi risposero con una descrizione poetica del sorgere del sole a Mosca.
Usa e Urss scelsero di affidarsi a una comunicazione scritta e di evitare il telefono per un motivo preciso: la comunicazione verbale avrebbe potuto generare equivoci, malintesi, incomprensioni, mentre la parola scritta consente una comunicazione più garantita. L’accordo prevede che ognuno dei due Paesi scriva nella propria lingua, e spetta al ricevente di tradurre.
Lo scopo del Telefono Rosso è appunto quello di evitare equivoci. Ovvero che nessuno possa equivocare sulle operazioni dell’altro. Non è un canale diplomatico, bensì militare. Se una delle due parti sospetta che ci sia un’attivazione nucleare, può chiedere chiarimenti. In tema di armamenti nucleari, considerando la velocità di reazione dell’altro, è infatti indispensabile che non ci siano equivoci di sorta.
Nel 1983, ai tempi di Reagan e Breznev, come si è scoperto solo di recente, si andò molto vicini all’Olocausto nucleare proprio per un errore di interpretazione da parte sovietica, che fu indotta in errore da un malfunzionamento dei loro sistemi di avvistamento satellitari e per un momento ritennero che una esercitazione della Nato fosse invece un attacco nucleare. Se il mondo è ancora in piedi, lo dobbiamo a un giovane tenente colonnello, Stanislav Petrov, che era al comando del sistema di allarme, e che non diede seguito alle segnalazioni del loro sistema che gli dava per certo il lancio di cinque missili nucleari. Capì che era errore del sistema. E non attivò la rappresaglia atomica. Petrov, scomparso nel 2017, ha ricevuto molte onorificenze nel mondo, non in patria. In suo onore, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite ha introdotto nel 2013 la Giornata Internazionale per l’eliminazione totale di tutte le armi nucleari, che viene celebrato ogni anno il 26 settembre, la notte in cui Petrov decise consapevolmente di non reagire.