L’infermiera dell’Ausl racconta la sua ultima esperienza: «Ho imparato un senso molto più profondo di comunità»
MODENA Il senso di responsabilità e il senso etico legato alla propria professione ma anche al proprio ruolo nella società sono sicuramente le forze motrici che hanno ispirato e guidato le azioni di molti concittadini in particolari negli ultimi due anni di pandemia.
Tra di loro c’è Cecilia Pellicciari, infermiera presso l’Ausl di Modena, che oltre ad essere la responsabile del Centro Vaccinale di Modena, ha trascorso parte della sua carriera come infermiera in missione in un ospedale in Madagascar.
Di ritorno da poco dalla sua ultima missione, ci racconta questa esperienza e cosa le ha lasciato dagli inizi ad oggi.
Quando e per quale ragione ha deciso di intraprendere questa esperienza come infermiera in Madagascar?
«Devo dire che in realtà è nato tutto un po’ per caso, un giorno lessi un articolo su un giornale che offriva la possibilità di partire per il Madagascar come infermiera, decisi di informarmi per capire quali qualifiche fossero necessarie e così, dopo 6 mesi di formazione, nel 2005 sono partita per la prima volta e ho continuato fino adesso, proprio con una missione recente durante il periodo Covid tra il 2020 e il 2021, dalla quale sono rientrata da poco».
Come è la sua giornata tipo in Madagascar? Di che cosa si occupa?
«Come ruolo mi occupo della rappresentanza del paese e dal punto di vista pratico seguo l'accompagnamento in ospedale per l’autogestione locale».
C’è stato qualcuno che l’ha accompagnata in questa esperienza?
«Un posto speciale nel mio cuore è occupato da Luciano Lanzoni, volontario dell’associazione “Volontari nel mondo RTM”, che ha trascorso ben 27 anni della sua vita in Madagascar ad occuparsi dei lebbrosi ed è mancato da poco a causa del Covid. Ogni volta mi aspettava in aeroporto e quando sono arrivata in Madagascar l’ultima volta non vederlo lì è stato un colpo al cuore».
Qual è l’insegnamento più importante che negli anni ha tratto da questa esperienza?
«Ho imparato che è fondamentale avere sempre qualcuno al proprio fianco che conosca in maniera approfondita la cultura del paese nel quale si opera, per evitare di commettere degli errori nella relazione con le persone».
Qual è la differenza culturale tra l’Italia e il Madagascar che le è rimasta maggiormente impressa?
«Ci sono alcuni principi che in Italia reputiamo universali come ad esempio il rispetto della privacy di una persona soprattutto in ambito sanitario, mentre invece in Madagascar si misura il bene e l’affetto di una persona verso qualcun altro attraverso la quantità di cose che si raccontano. C’è un senso di comunità molto più profondo: senza l’aiuto degli altri non si può fare nulla».
Quale consiglio darebbe a coloro che pensano di intraprendere un percorso di questo genere?
«Consiglio di approfittare dei bandi per il servizio civile, di cui oggi usufruiscono sempre meno persone, per fare un percorso di un anno accompagnati da persone esperte e competenti, in modo tale da consentire anche ai giovani di fare una bellissima esperienza e di sfruttare una valida occasione. Inoltre consiglierei a tutti di partire accompagnati da una persona che conosca bene la cultura del paese per sentirsi guidati, godere al meglio di questa opportunità ed evitare di commettere errori».
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