Questo articolo è pubblicato sul numero 40 di Vanity Fair in edicola fino al 5 ottobre 2021
Ho visto Titane, il film che ha vinto la Palma d’Oro a Cannes del quale Nanni Moretti aveva spiritosamente scritto su Instagram di aver capito di colpo di essere invecchiato perché non aveva vinto lui ma un film in cui la protagonista rimane incinta di una Cadillac. E tutti abbiamo pensato «incinta di una macchina? Sarà una clamorosa pippa intellettualistica». Invece l’ho visto e l’ho trovato bello. Secondo me se Nanni lo vede piace anche a lui. A settembre ho fatto un’orgia di cinema in sale semivuote. Quello della capienza (cinema, teatri, concerti) è un problema vero e ora serve che il ministro Franceschini se ne occupi: non ha senso viaggiare accalcati e penalizzare la cultura, vuol dire giudicare gli artisti gente da poco come quando venivano sepolti in terra sconsacrata. Ho visto i film di Moretti, Bellocchio, Villeneuve e Rachid. Ma l’unica regista che mi ha gettato il cuore – e altri organi sparsi, stomaco compreso – in orbita è stata Julia Ducournau con Titane. Avverto: è un film disturbante, specie all’inizio. L’ho visto con tre amici e uno di loro ha inveito alla «boiata infarcita di luoghi comuni di moda». Ci sono scene violente e respingenti, anche se alla fine capisci a cosa servivano, e altre – come quando dalle mammelle di Alexia sgorga olio da motore – che fanno ridacchiare. Ma mentre l’amico più grande protestava, noi siamo rimasti in silenzio, toccati, come quando si assiste a qualcosa di notevole, da elaborare. La regista – parigina, 37 anni, al secondo lungometraggio, segni particolari bellissima – si è inventata una vera storia d’amore contemporanea. Non solo quella tra la ragazza (la magnetica Agathe Rousselle, attrice e modella identica al nostro Achille Lauro) e la Cadillac, ma soprattutto quella struggente tra il comandante dei pompieri (un sessantenne fighissimo, Vincent Lindon) e suo figlio, quello scomparso e quello ritrovato. Non racconterò altro. Ma ci tenevo a condividere un’emozione, in attesa di farlo seduti vicini, almeno come in treno.
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