Una prima denuncia è arrivata all’indomani del tragico incidente. Vanessa Bryant, che nello schianto di un elicottero ha perso il marito, Kobe Bryant, e la figlia Gianna, ha fatto causa alla società proprietaria del velivolo. Il pilota non avrebbe dovuto alzarsi in volo. Troppa nebbia, troppa negligenza, ha sostenuto la vedova del cestista americano che, venerdì 8 maggio, ha avviato una seconda causa legale.
Vanessa Bryant, a quattro mesi, o quasi, dalla morte del marito e della figlia, ha deciso di intentare una causa contro il Dipartimento dello Sceriffo di Los Angeles. Questi sarebbe colpevole di aver condiviso alcune foto della scena con persone non autorizzate a vederle. «Non meno di otto persone, incaricate dallo sceriffo, erano sulla scena a scattare foto dei bambini morti, dei loro genitori e allenatori con i propri cellulari. Come il Dipartimento avrebbe poi ammesso, non c’era alcuna ragione investigativa per la quale bisognasse scattare foto dell’incidente. I sottoposti dello Sceriffo lo hanno fatto per scopi personali», si è potuto leggere nel documento recuperato dal magazine People, nel quale si legge (anche) che «la mala gestione di questo cattivo comportamento da parte del Dipartimento non ha fatto che peggiorare lo stress emotivo di Vanessa Bryant». La donna, infatti, avrebbe paura che le foto possano circolare oltre.
«La signora Bryant è molto preoccupata dal fatto che le copie di quelle foto non siano state ritirate e teme sia solo questione di tempo prima che lei o le figlie vi si imbattano su Internet». Perciò, i membri del dipartimento che hanno scattato le foto, cosa questa che avrebbe dovuto fare solo il coroner e il medico legale, sono «responsabili di cattiva condotta, di aver inflitto intenzionalmente un grande stress emotivo e di aver violato il diritto alla privacy di Vanessa Bryant».