Questo articolo è tratto dal numero 16/17 di Vanity Fair, in edicola fino al 6 maggio.
Ci sono momenti piuttosto rari in cui i limiti visibili di quello che mi circonda scompaiono, come se una forza invisibile ne sciogliesse i confini, come se il battito del mio cuore fosse il passare del tempo, come se il mio respiro fosse il vento che sento intorno. Non c’è più fuori o dentro, c’è una sensazione piena e fragile, credo si chiami armonia, in cui la luce si posa in maniera nuova su cose che se anche conosco mi paiono nuove, che si presentano come non le avessi mai viste, mi rinnovano il loro esistere.
Quasi alzassero il loro cappello in un saluto di altri tempi, mi svelano lampi dei loro occhi che le falde nascondevano; mi sorridono complici nell’emozione di un segreto finalmente condiviso e tenuto celato dal caso, emerso dalla collisione improvvisa del tempo e dello spazio.
Fermi lì in un battito di ciglia, consapevoli che stia già passando, loro e io non abbiamo in fondo che una scelta, rimpiangerlo o, essendo grati di questa grazia, inseguire il prossimo improvviso lampo di Bellezza.
Nella foto: Federico Fellini nel 1961 mentre dirige Anita Ekberg sul set di «Boccaccio ’70». Foto Getty.