Una premessa è dovuta: l’album cui Ed Sheeran ha lavorato nell’ultimo anno di tour non ha una destinazione convenzionale né una copertina patinata, di quelle capaci di catturare l’occhio e, insieme, gli scaffali di qualche megastore. No.6 Collaborations Project, in uscita per Warner Music venerdì 12 luglio, ha una cover anonima. Un disegno in bianco e nero che raffigura parte di un «6», poi il nome del cantautore britannico, in alto, sulla destra. A guardarla, si direbbe che nessun addetto al marketing abbia fatto uno sforzo di pensiero per garantire al disco lo slancio che una buona copertina avrebbe potuto dargli. Ma non c’è sbaglio in quel «6» bianco e nero, perché, di nuovo, non c’è normalità nel prodotto.
Il disco, composto da quindici brani inediti, non è pensato per un pubblico, perché qualcuno ci metta sopra le proprie mani, strappandolo agli scaffali di cui s’è detto. È pensato per Ed Sheeran, per un ragazzo vicino alla trentina, prima fan che popstar. No.6 Collaborations Project è un viaggio all’interno del bagaglio musicale che il piccoletto dalla zazzera rossa si porta appresso dai tempi dell’autoproduzione. È un atto di rivalsa, condiviso con il mondo così che possa restituire appieno l’immagine del successo.
«Prima di avere un contratto discografico, ho fatto molti Ep. Uno, tra questi, si chiamava No.5 Collaborations Project. Lo avevo realizzato insieme ad alcuni rapper inglesi di cui ero fan allora», ha spiegato Ed Sheeran, raccontando come, tornando con la mente al passato, si sia reso conto di non aver più infilato alcuna collaborazione nei propri dischi. «Ho partecipato a molti brani di altri, ma, nei miei album, c’ero solo io». Così, Sheeran ha raccolto la propria volontà e cominciato a «mettere giù delle cose nel mio computer, chiamandole No.6 Collaborations Project. Ogni volta che incontravo un artista di cui ero fan o di cui possedevo un album, gli chiedevo di andare in studio. Per me, non tanto per realizzare una canzone da pubblicare».
https://www.youtube.com/watch?v=s93NCuXt7x4Il tran tran si è ripetuto, identico, per quindici volte ed Ed Sheeran, nello spazio di un anno, ha trascinato in studio – tra gli altri – Eminem e 50 Cent, Bruno Mars, Skrillex, Justin Bieber, Camila Cabello e Cardi B. «Se ce l’ho e lo metto su in macchina, ci lavoro, mi sono detto», ha raccontato l’inglese, che del proprio album è riuscito a fare un’immensa contaminazione, legata da un solo filo: la musica. «Io non vedo generi diversi, vedo solo cuore», ha detto, «La musica è ciò che mi fa sentire qualcosa: può essere solo divertimento, musica che mi faccia sentire felice o musica che mi faccia sentire triste, piangere ed essere malinconico. Ogni tipo di musica che sappia provocarmi sensazioni è musica che mi piace. Ho sempre avuto gusti molto diversi: sono cresciuto ascoltando folk e rocl’n’roll, poi sono passato al rap, all’hip hop e al grime. Infine, è arrivata la musica acustica». E l’insieme ha preso il sopravvento.
Il risultato, in un album che Ed Sheeran ha definito di passaggio («Non è il passo successivo della mia carriera, vado avanti con il nuovo disco»), sono quindici canzoni estremamente eterogenee, nelle quali il cantautore spazia dai ritmi latini (South of the border, con Camila Cabello e Cardi B) all’hip hop undergorund (Antisocial, con Travis Scott). Dalla ballata romantica (Best part of me, con Yebba) alla ballata pop (I don’t care, con Justin Bieber), per ritrovare quel divertimento fine a se stesso, quella forma di passione e gioia (sbruffoncella, all’occorrenza. Sentire Take me back to London per credere), che ha saputo riportare (anche) Eminem ai tempi dei ritmi felici.