C'è molta voglia d'America. Direi troppa. C'è molta voglia di Europa, come prima, troppa. Il calcio delle cosiddette big disegna scenari che noi umani non possiamo capire e nemmeno individuare. E' roba dell'altro mondo, appunto dell'America, quella del football, non del soccer, quella della pallacanestro, dimensioni che nulla hanno a che fare con le istituzioni del vecchio continente ma che fanno tendenza e attirano, come pusher pronti a offrire la droga. Ma stavolta il denaro deve entrare nelle tasche dei tossici dipendenti di nuove formule magiche, di un calcio business che punta all'affare ma, per ora, resta nelle mani degli affaristi. La superleague non è un'idea come un'altra, è la proiezione di smanie e presunzioni di alcuni club che non contenti dei propri forzieri vogliono andare oltre, gonfiandosi come la rana di Fedro mentre il bue rimane tale e quale. Un torneo esclusivo diventa un circolo ristretto, un club privatissimo nulla a che fare con lo spirito e la filosofia dello sport che fu, ma così è il professionismo al quale spesso, soprattutto nel calcio, soprattutto in Italia, non corrisponde la professionalità. Esempio: alcuni club, tagliati fuori dalle coppe europee, propongono di tornare nel giro a prescindere dalla classifica ottenuta in campionato o da eventuale eliminazione, basta presentare la carta speciale detta wild card e il gioco è fatto, il verdetto annullato, si ricomincia come nulla sia accaduto. Questo accade nel football americano, nella pallacanestro, in altri giochi e ha un suo significato, ha una sua logica: il grande club fa spettacolo, attira pubblico, richiama sponsor, insomma non se ne può fare a meno. Ma c'è un ma ed è doveroso: tutto bene ma perché chi chiede oggi la wild card non mette prima a posto i propri conti? Perché presume di entrare al casinò avendo più debiti dello Stato? Perché ha la faccia tosta di pretendere l'accesso ad un torneo senza avere i titoli, contabili e non soltanto di classifica, per stare alla pari con chi vanta denari e rispetto presso le banche? Questa sarebbe la vera parità, questa la battaglia che i grandi presidenti dovrebbero portare avanti. E invece il football, quello italiano, continua a guardarsi allo specchio ritenendo di essere ancora il più bello, o tra i più belli del reame. Poi leggi i suoi bilanci, controlli le cifre e scopri dei buchi che sono voragini. Ecco perché il calcio va alla ricerca di investitori, non ha più un soldo in saccoccia e, come il conte Max, finge una vita che non gli appartiene davvero. Nessuno discute la bontà dell'idea di una lega più forte, più sostanziosa, più spettacolare. Il calcio ha bisogno di riformarsi ma non certamente con gli uomini e le strutture attuali. Se le assemblee di Lega, quella di serie A, potesse essere seguita in streaming garantirebbe il migliore spettacolo comico dell'anno, eccezionale veramente nella recita di alcuni dirigenti e presidenti che dimostrano una competenza e una visione progettuale da parrocchia. Verrà sicuramente il giorno della superlega europea ed euromondiale, avrà gli occhi diversi da quelli attuali ma dovrà prima fare pulizia al proprio interno, tenendo fuori dal circolo chi non paga la retta o non ha saldato i conti in sospeso. Credo che sarebbe dignitoso per tutti stabilire regole fisse, rigorose così nella loro applicazione, senza sotterfugi e furbate da finti ricchi. I grandi club abbiano anche maggiore rispetto nei confronti di chi ha permesso loro di diventare tali. Altrimenti il calcio si spaccherà definitivamente in due tronconi: di qua l'élite (vera), di là il resto della popolazione. Così si potrebbe creare un mondiale a 8 nazioni (Brasile, Uruguay, Argentina, Inghilterra, Germania, Francia, Spagna, Italia), così un europeo a 5. Le altre, chissenefrega. Provate a immaginarlo. Ma non ditelo in giro. I tifosi? Che paghino il biglietto o l'abbonamento alle pay tv.