«Lo hanno mandato in Egitto allo sbaraglio? È questa la domanda che ci siamo posti in tanti a Fiumicello» sostiene Paolo Dean, ex sindaco del paese friulano di cinquemila anime, che si sta preparando all'ultimo saluto a Giulio Regeni massacrato al Cairo. «Non era uno che andava in cerca di guai e non si trattava della sua prima esperienza all'estero - spiega Dean a il Giornale -. La mia impressione è che sia stato in qualche maniera spinto da Cambridge o dai suoi contatti al Cairo facendogli sottovalutare il pericolo». Dopo essere sparito nel nulla il 25 gennaio, quinto anniversario della rivolta di piazza Tahrir, il corpo di Regeni, orribilmente torturato, è stato ritrovato il 3 febbraio alla periferia della capitale egiziana. «Si innamorava di qualsiasi cambiamento comprese le primavere arabe, ma non era così politicizzato come lo avete descritto. Il pericolo è che la sua triste fine possa venir cavalcata, come ha fatto il Manifesto (pubblicando un articolo postumo di Regeni anti governo egiziano, ndr) oppure dai Fratelli musulmani».Fiumicello si prepara al funerale di uno dei suoi figli più giramondo. Qualche negozio è chiuso per lutto. Altri hanno tirato fuori la bandiera italiana con il fiocco nero ed un ristorante espone una foto sorridente di Regeni con su scritto «Ciao Giulio». Giovani e anziani, scolaresche e amici, anche dall'estero, riempiono la palestra comunale dove si tiene la messa d'addio. Un fiume di gente, tremila persone, in gran parte compaesani, ma anche una coppia di Torino. Lui di origine tunisina e lei, Teresa Calabrese, convinta che «si tratta di un omicidio di Stato». In prima fila una signora con i capelli bianchi arriva da Muggia ad un passo da Trieste: «Sono venuta perché ho un figlio rivoluzionario, come Giulio. Questi giovani vogliono cambiare il mondo. Forse non ce la faranno, ma è giusto che non si arrendano» sostiene l'orgogliosa ex sessantottina.Il parroco, don Luigi Fontanot, spiega dall'improvvisato altare che indossa «una stola colorata del Sud America dei desaparecidos». I familiari entrano affranti nella palestra seguendo il feretro. In primo piano le corone dell'ambasciata italiana al Cairo e dell'università di Cambridge. Quella del Quirinale, con tanto di corazzieri, è stata gentilmente rifiutata dalla famiglia che non ha voluto nessun stendardo e nemmeno la fascia tricolore dei sindaci.Amici e professori di Regeni si susseguono nelle letture sul filo del ricordo «beatificandolo» come esempio di libertà, democrazia e cittadino del mondo. Nessuna accusa, polemica, coloritura politica oppure odio intacca la commovente cerimonia. Un giovane legge il messaggio della madre: «Grazie Giulio per avermi insegnato a comprendere, amare e costruire la tolleranza». Carla, un'amica di Regeni, dice: «Potranno recidere tutti i fiori, ma non possono fermare la primavera» forse pensando a quella araba e alla tragica fine del giovane. Peter Nolan porta l'ultimo saluto dell'università di Cambridge spiegando che per i ricercatori «è difficile lavorare sul terreno», ma non dice nulla di più a parte le condoglianze. L'ateneo gli ha imposto il silenzio stampa. Maha Abdelrahman, una delle tutor di Regeni, si presenta a sorpresa per ricordarlo. Anche lei in seguito non è rintracciabile per chiederle se l'università di Cambridge ha sottovalutato i pericoli nel mandare il ricercatore di Fiumicello al Cairo.Al contrario, chi non si risparmia, è la delegazione di una quindicina di attivisti italo egiziani giunti da Milano. Un paio si piazza in testa al corteo funebre, a fianco del feretro per farsi fotografare e riprendere. Altri si lamentano che «il funerale è stato un po' opaco senza una denuncia chiara. Sappiamo tutti chi lo ha ucciso». Ahmed Abdel Aziz della Coalizione degli egiziani all'estero giura che non vogliono «strumentalizzare la morte di Giulio» ma ricorda «che altri 1700 studenti sono in carcere in Egitto». Il gruppo con qualche donna velata si definisce trasversale. In realtà è vicino ai Fratelli musulmani fuorilegge al Cairo. Anne Alexander, una delle docenti di Cambridge che seguiva Giulio caldeggia l'idea di un'alleanza fra i gruppi di sinistra egiziani ed i Fratelli musulmani «per costruire una più efficace opposizione al regime militare». In questo ginepraio si è infilato il giovane di Fiumicello tornato a casa in una bara.