La cultura come organizzazione e sistema, ma libera dalla retorica di parte: l’obiettivo è la qualità, non l’ideologia
Nella Bohème di Puccini, “filosofi e poeti” abitano precariamente una soffitta di Parigi, campano di stenti, e sono anche del tutto sconosciuti non solo ai vicini ma ai dirimpettai. Tale opinione si è così radicata da diventare un sottinteso dogma scolastico, in spregio sia delle effettuali biografie, sia della storia sociale e politica; ma esercita uno strano malato fascino. Nella realtà, le cose andarono diversamente nella maggior, nella massima parte dei casi. Posso addurre esempi a iosa, e me ne basta uno.
Ad Atene si celebravano le feste Dionisiache, durante le quali, tra l’altro, si rappresentavano tragedie e commedie. Queste, come ogni creazione degna di essere detta così, venivano composte da poeti invasati e in preda, direbbe Platone, alla “mania” infusa dagli dei. Benissimo, ma, passato il momento dell’estro (di solito, è brevissimo), i poeti presentavano le proposte a un arconte, il quale, valutatele, le approvava o meno; e, siccome tutto ha un costo, assegnava a un riccone l’onere di una “liturgia”, in pratica pagare le spese: il coro di canto e danza, la musica, il regista, gli attori… e l’autore, beato lui.
Resisto alla tentazione di ricordare che i dottissimi monaci medioevali erano mantenuti nei conventi a scrivere libri; e che i signori radunavano a corte i poeti affinché, cantando le gesta di avi immaginari, inviassero a chi di ragione messaggi politici concretissimi. Resisto, e concludo che la cultura è sempre stata organizzata.
Ovvio che l’organizzatore della cultura organizzata mirava anche a varie forme di tornaconto, tra cui quella che chiamiamo la gloria, e nel XVI secolo, più cinicamente, la riputazione, cioè il prestigio politico e militare, oggi detto deterrenza: potenza della propaganda. Se il poeta riusciva, o se aveva voglia di ritagliarsi un angolo di soggettiva libertà, bisogna vedere caso per caso.
Anche oggi c’è chi organizza la cultura, anzi oggi lo si fa in modo più sottile che edificando piramidi e colossei e ispirando poemi: si studia sociologicamente la situazione, e si decide come intervenirvi per far comprare della roba… o per indirizzare il voto. Mi si lasci dire che la prima finalità è facile da realizzare. La seconda, il voto, o, secondo i tempi, il consenso, è più ardua. Disse, infatti, Senofonte: «Se il popolo crede che, obbedendo, capiterà male, non può essere né costretto né ingannato». Il pensiero di Gramsci, trionfante dal 1946 in cinema tv libri canzonette, nelle urne è stato clamorosamente battuto (come nel 1989 a Mosca) nel settembre 2022 in Italia. Non è dunque un gramscismo di destra che qui io propugno, ma solo la cultura.
Che è successo? Che la mentalità che era, diciamo, di sinistra si è modificata da sola, e si sta ancora modificando, e dilaga la rivolta contro i contorti pensieri degli intellettuali di sinistra e di chi cerca di scavalcarli a sinistra, e contro il politicamente corretto in generale. Com’è successo? Da sé, e non certo per effetto di una letteratura o di un cinema o di una tv o di una musica di destra: attività di cui, lo dico con dispiacere, non si vedono tracce né prima del settembre 2022… né dopo e oggi, nel declinante 2025.
Per quanto detto di sopra, vorrei propugnare semplicemente la cultura, e sarei ben lieto se fosse una cultura deideologizzata, quindi libera da retorica di qualsiasi segno; e che narri e rappresenti vicende umane senza preoccuparsi se queste suscitino o meno delle opposizioni o critiche o frasi fatte.
C’è urgenza di cultura, perché dilaga l’ignoranza direttamente, attenti, direttamente proporzionale ai titoli di studio, e quindi alla scolarizzazione. Esempio: oggi il problema storiografico non è se la Seconda guerra mondiale è andata così o cosà… è che quasi tutti sconoscono che ci sia stata, o, i pochi che ne parlano, pensano, alla Ciampi maniera, sia iniziata l’8 settembre del 1943 e non il 10 giugno del 1940! Anzi, che quel triste giorno settembrino sia iniziata la storia d’Italia, e non da Italo e Romolo. Figuratevi se questi disinformati con laurea sanno qualcosa di chi era “Scipio”, quello dell’Inno!
Anche sulla geografia… sarei curioso di interrogare a tale proposito! E la letteratura? Il massimo che posso sperare è qualche sparuto brano della Divina Commedia accuratamente avulso dal contesto: Paolo e Francesca, senza far notare ai fanciulli che i due piccioncini sono all’Inferno. Ci sarebbe un gran lavoro da iniziare, per recuperare decenni di subcultura quando non di palese ignoranza. Lo deve fare la scuola; ma soprattutto bisogna mettere mano a romanzi, cinema, televisione, musica, urbanistica, architettura.
Come? Ma come fecero, in tempi più tumultuosi e più felici e creativi, Mecenate, il quale versi non scriveva però chiamò Virgilio e Orazio; o papa Giulio II che non sapeva tenere in mano un pennello (preferiva la spada!), tuttavia per la Sistina incaricò Michelangelo. Ecco modelli di sano senso critico. E già, la cultura alla fine è la qualità, è lo stile della parola, se è poesia, è la tensione scenica se è teatro o cinema… è costruire cattedrali e non certi scatoloni spacciati per chiese, e dentro bianchi come ospedali. Il compito della politica è quello di saper giudicare e sostenere la cultura. La cultura non si pesa e non si misura e non si analizza, s’intuisce e suscita passioni e sensazioni. L’attuale cultura ufficiale, invece, provoca ondate di noia e di depressione presentata come un valore quando invece è solo una malattia.
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