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L’Ue bellicista coi tedeschi in prima fila: così si è tradita la missione dei padri fondatori

E’ il 14 giugno del 1940 e le truppe del Terzo Reich sfilano in trionfo sugli Champs-Élysées. Nei cinegiornali dell’epoca i francesi piangono lacrime di disperazione. Per sottolineare l’umiliazione, i tedeschi obbligano la delegazione francese a firmare l’armistizio che ufficializzerà l’occupazione nazista della Francia in quello stesso vagone ferroviario del maresciallo Foch in cui, nel 1918, era stato firmato l’armistizio di Compiègne a conclusione della Prima Guerra Mondiale. Poi, giusto perché da buoni tedeschi sono metodici, fanno saltare in aria sia il vagone, sia il monumento a Foch.

Il delirio di onnipotenza nazista avrebbe continuato a mietere vittime e mangiarsi territori ancora per un paio d’anni, prima che le sorti della guerra cominciassero ad invertirsi portando la Germania al collasso.

Ciononostante, già nel 1941 Spinelli, Rossi e Colorni redigono il Manifesto di Ventotene che, qualsiasi cosa se ne pensi, è la visione di un’Europa federale fondata sulla pace, di cui era previsto facessero parte anche i tedeschi: proprio quei tedeschi ai cui ordini rispondeva il regime fascista che li aveva mandati al confino a Ventotene.

Pochi anni dopo, nel 1950 – la guerra è appena finita, c’è stato il processo di Norimberga e l’Europa sta vivendo il trauma di scoprire una dopo l’altra tutte le atrocità perpetrate dai nazisti – Robert Schumann, ministro degli Esteri francese, tiene il discorso che passerà alla storia come Dichiarazione Schumann in cui auspica la creazione di comunità europee di scopo (la prima sarà quella per il carbone e l’acciaio) che consentano ai paesi europei di collaborare e scongiurino il rischio del riproporsi di conflitti armati: mettere insieme le risorse per beneficiarne tutti ed in tal modo rendere impossibile ed impensabile nuove guerre – soprattutto tra tedeschi e francesi.

Nel 1957 è la volta dei trattati di Roma con cui nasce la Comunità Economica Europea, antenata diretta dell’Unione Europea. Sempre con i tedeschi, ça va sans dire.

Com’è possibile che i grandi padri nobili dell’Europa come Spinelli e Schumann, De Gasperi e Monnet, dopo aver visto ed in alcuni casi vissuto l’orrore della guerra – e più in particolare quello perpetrato dai nazifascisti – in prima persona, invece di correre al riarmo in difesa dalla minaccia germanica, invece di proclamare invettive contro il popolo tedesco, invece di estrometterlo dal salotto buono della politica internazionale e di sottoporlo ad embargo commerciale lo abbiano accolto a braccia aperte, e coinvolto come membro fondatore delle comunità europee? Dopo che nel giro di pochi decenni aveva scatenato due guerre mondiali?! Dopo che aveva occupato quasi l’intera Europa continentale?

E’ evidente che non avevano capito nulla! Invece di fare le anime belle, innalzandosi oltre le logiche fratricide, avrebbero dovuto seguire l’esempio preclaro di Von der Leyen & co.: col nemico non si tratta. La ricetta per la pace passa per il riarmo, resistenza ad oltranza e retorica bellicosa – anche a costo di mettere in ginocchio l’economia e lo stato sociale dei paesi europei. Lo sa bene anche quel volpone di Friedrich Merz, che dopo aver inanellato una serie di gaffes assortite, ha pensato bene di reintrodurre la leva obbligatoria, farneticare dell’ “esercito più grande d’Europa” (does that ring a bell??) ed insistere strenuamente (per poi restare sonoramente trombato) per espropriare i beni russi sequestrati dall’inizio della guerra destinandoli all’Ucraina, seccando così, en passant, un’altra di quelle cosucce di cui ancora potevamo andare fieri in Europa – lo stato di diritto.

Meno male che ci sono i diplomatici a raffreddare gli animi: ci pensa l’alta (forse di statura?) rappresentante per la politica estera Kaja Kallas che, dopo aver dimostrato di non sapere chi abbia vinto la Seconda guerra mondiale (d’altra parte lei mica è del mestiere) e aver sostenuto che la Russia non sia mai stata attaccata o invasa da alcun altro stato (mice è una storica, lei), ha cercato di calmare le acque dichiarando che “la Russia ci odia e vuole distruggerci”. Nientemeno.

Ecco, fino a qualche anno fa, quando si sentiva criticare l’Europa per scarso dinamismo, burocrazia ipertrofica, frammentarietà delle politiche, si poteva ancora ribattere: ok, ma abbiamo lo stato di diritto, abbiamo lo stato sociale e siamo stati in grado di garantire la pace in un continente storicamente dilaniato dalle guerre. Ora che i pagliacci si sono impossessati del circo, non ci resta più neanche quello.

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