“Mio padre non accettava che facessi il cuoco. Mi disse: ‘Quando gli altri festeggiano, tu lavori, fai qualsiasi cosa ma non questo’”: così Antonino Cannavacciuolo
“Quando gli altri festeggiano, tu lavori”. È questa la frase che il papà di Antonino Cannavacciuolo gli ripeteva allo sfinimento pur di non fargli fare lo chef. Le parole pronunciate dal genitore, professore all’alberghiero, non erano ciniche: rappresentano la faticosa realtà della ristorazione. Sabato, domenica e festivi passati (spesso) in cucina. Perché, fare lo chef, è un qualcosa che va oltre. È vocazione, studio, sudore e sacrificio. Ed è proprio quello che ha raccontato Cannavacciuolo ospite al podcast “Passa dal BSMT” di Gianluca Gazzoli.
Il pluristellato chef ha ripercorso la propria vita. Partito da Napoli, il giudice di MasterChef ha poi raccontato i contrasti famigliari per la scelta del suo ipotetico futuro lavorativo. Cannavacciuolo aveva chiaro, in mente, cosa avrebbe voluto fare da grande. Il padre però, conscio del totalizzante impegno del mestiere, ha cercato in tutti i modi di fargli cambiare idea. Il risultato lo conosciamo bene: niente da fare. Ogni sforzo è stato vano. “Quando dissi a mio padre che volevo fare il cuoco, mi rispose: ‘Fai qualsiasi cosa, ma non il cuoco’. Mi spiegò che avrei perso la famiglia, le feste, il sabato e la domenica. Mi disse: ‘Prendi un pennarello nero e colora di nero anche le giornate rosse sul calendario. Non ci sono vacanze, quando gli altri festeggiano, tu lavori’”. Da lì, padre e figlio, hanno trascorso un mese dal clima teso. “Mio padre mi girava alla larga, non accettava che andassi all’alberghiero. Poi ha visto che volevo davvero, volevo, volevo. E allora ha detto: ‘Vai!’”.
Cannavacciuolo non è mai stato con le mani in mano. A 13 anni, oltre lo studio, lavorava. L’ombra di suo padre, però, era sempre presente. Deciso nel fargli prendere una strada diversa da quella della ristorazione. “Mio padre andava dai miei professori e diceva: ‘Dovete far cambiare idea a mio figlio’”, ha proseguito lo chef. La madre di Antonino, invece, era più incline a supportarlo, qualsiasi fosse stata la scelta. Il riconoscimento paterno arriverà più tardi e mai in forma esplicita, diretta. “Il primo articolo importante lo portai a Napoli. Lui lo lesse tutto, cinque o sei pagine, poi mi disse solo: ‘Se è vero quello che c’è scritto, ci deve essere un seguito’”. Oggi – ha aggiunto Cannavacciuolo – “Gli mando i panettoni e mi dice giusto: ‘Buono’. Poi a mia sorella dice che erano buonissimi”. Una maschera di durezza che è stata “benzina” per lo chef.
Durante la chiacchierata con Gazzoli, Cannavacciuolo ha raccontato anche dei retroscena sul suo ristorante, tre stelle Michelin, Villa Crespi. Le spese di gestione e mantenimento della struttura sono tutt’altro che facili da sostenere. L’idea di Villa Crespi è nata fuori da ogni logica di business. “Non ho deciso io – ha precisato lo chef -. Sono quei momenti strani della vita”. Gli era arrivata la proposta di prendere in gestione Villa Crespi, appena chiusa. “Ho pensato subito: dov’è la fregatura?”, ha ammesso Cannavacciuolo che, in effetti, non aveva tutti i torti. L’affitto, infatti, è da pagare in anticipo ed i mesi invernali sono senza incassi. Ma, Cannavacciuolo e la moglie Cinzia, all’ora ventenni, accettano lo stesso. “A gennaio giocavamo alle tre carte, ad agosto lavoravamo bene, ma quando arrivava febbraio servivano tutti i santi”, ha detto. I primi periodi di apertura di Villa Crespi, lo chef andava di notte, in macchina, per andare direttamente dai contadini e comprare da loro dei sacchi pieni di noci. “Le compravo a 2.000 lire al chilo invece che a 25.000”. Ogni risparmio veniva reinvestito. Si cercava di fare tutto al dettaglio. Ai ragazzi della brigata “dicevo: se lavoriamo bene, l’anno prossimo compro il macchinario migliore”. L’impegno ed i sacrifici hanno avuto, col tempo, i loro risultati. Prima Gambero Rosso, poi Michelin. Quando gli comunicano le Tre Forchette, dall’emozione “Ho attaccato il telefono”. Ma, dal primo giorno in cui lo chef ha elaborato di voler diventare cuoco: “Il pensiero di non farcela non c’è mai stato. Non l’ho mai contemplato”.
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