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Musk e Zuckerberg andrebbero nazionalizzati: più che tecnologica, la loro è influenza politica

Musk e Zuckerberg andrebbero nazionalizzati, come ha fatto la Cina con Jack Ma. Perché? Ovvio: l’intreccio tra il capitalismo e le oligarchie tecnologiche conferma che le democrazie non funzionano più, hanno bisogno di rivedere missioni e valori di fronte all’arrembaggio dei super ricchi del big tech. Siccome sono tutti americani, non per cadere nei cliché, ma è vero che le democrazie europee stanno affrontando minacce mai viste prima proprio da quella parte dell’oceano. Le insidie e trappole non provengono più solo da autocrazie come Russia o Cina, ma proprio dall’America, di cui siamo ossequenti alleati. Non si capisce come la gente non veda che il potere egemonico concentrato nelle mani di miliardari tech come Elon Musk e Mark Zuckerberg è già una forza destabilizzante.

Infatti non è solo tecnologia: è influenza politica, propaganda e manipolazione. Musk, uomo più ricco del mondo come mai nessuno prima nella storia umana, con un patrimonio di 426 miliardi di dollari, proprietario di X (ex Twitter) e ‘toro scatenato’ di Donald Trump, usa il suo network per denigrare leader che non gli piacciono – facilissimo però attaccare i perdenti tedesco e inglese Scholz e Starmer – e sponsorizzare politici di estrema destra. In Germania, il patron di Tesla sostiene il partito filonazi AfD in vista delle elezioni e proprio oggi darà spazio alla candidata Alice Weidel con un livestream su X. Musk quindi non è solo un imprenditore: è un attore politico globale, anzi il n.1, usa il suo social per influenzare lo scenario politico internazionale. E noi, zitti e allineati. O meglio: tutti a riprendere e rilanciare le sue ketaminiche esternazioni.

Nel frattempo Zuckerberg, ceo di Meta, segue una traiettoria simile. Passando a un modello che elimina il controllo indipendente dei fatti in nome della “libertà di parola”, Facebook e Instagram diventano arene dove disinformazione, complottisti e fake news prosperano indisturbati. I due giganti tecnologici, con approcci diversi, stanno ridisegnando le regole del discorso pubblico globale allineandosi al nuovo potere a Washington. E le conseguenze per l’Europa sono enormi.

E qui si pone la questione della dipendenza europea e la paura della Casa Bianca, tra pochi giorni in mano a Trump n. 47. Di fronte a questa realtà, i leader europei si trovano in una quasi patetica posizione tipo “non possiamo farci niente”. La dipendenza dalle piattaforme tecnologiche Usa non è solo una questione di infrastrutture: è una questione di sovranità politica. Temendo ripercussioni, inclusa una possibile ostilità della nuova amministrazione, l’Europa appare incerta, divisa, balbettante nello sfidare apertamente Musk e Zuckerberg. Questo immobilismo potrebbe costare caro: le nazioni Ue subiranno una trasformazione dall’interno, manipolate da influenze esterne che minano la loro stabilità.

Musk, con il suo legame con Trump e la sua retorica di estrema destra, amplifica una narrativa che mina l’unità europea, promuove divisioni e favorisce partiti e movimenti antieuropei. Zuckerberg normalizza la disinformazione eliminando i fact-checker e permettendo che fake, teorie della cospirazione e propaganda si diffondano senza controllo (ricordo che su Facebook cliccano in media 3 miliardi di persone al mese). Per cui, l’Unione Europea può permettersi di restare spettatrice in questo gioco di potere egemonico estremo che non ha precedenti? Giudicate voi.

Il Digital Services Act (DSA) è un passo importante, ma insufficiente. Di fronte alla politicizzazione delle piattaforme social, servono misure più dure. Molto più dure. Per quanto mi riguarda, di fronte all’assalto delle tecnocrazie di destra proporrei la nazionalizzazione delle infrastrutture tecnologiche strategiche, anche se posso immaginare le critiche. Viva l’IRI dei democristiani, mi verrebbe da dire, un controllo pubblico può prevenire abusi di potere e garantire la sicurezza anche nelle democrazie prima che si trasformino in tecnocrazie in mano agli oligarchi.

Se esistesse, l’Europa dovrebbe regolamentare con fermezza le attività dei giganti tecnologici, imponendo trasparenza sugli algoritmi e responsabilità (termine generico da riempire come?) sui contenuti; dovrebbe promuovere alternative pubbliche a livello di stati nazionali, oppure europee, in concorrenza con le piattaforme americane. Se ci fosse una tecnologia pubblica in grado di competere con i colossi tecnologici privati, sarebbe logico scegliere quella. Ma non esiste, scrive Marco Travaglio.

Musk e Zuckerberg non dominano solo perché sono visionari, ma perché sono stati i primi a sfruttare capitali enormi e regolamentazioni inadeguate. L’Unione Europea, che chiacchiera tanto di sovranità digitale, è ancora all’anno zero. Sul fronte Starlink e satelliti, che sta facendo tanto chiasso, il progetto Iris 2, con i suoi miseri 290 satelliti, potrebbe diventare operativo nel 2035 – un’era geologica nell’odierna corsa tecnologica. Mentre Musk ha già messo in orbita (e li ha lanciati lui con SpaceX) migliaia di suoi satelliti. Lo hanno lasciato fare. E nel frattempo? Come scrive Travaglio, l’ipocrisia è evidente: i governi, incapaci di competere, si trovano costretti a dipendere dai giganti privati. Ma il progetto Iris non può essere accelerato, investendo le decine di miliardi che vanno invece in armi e nella Nato?

Il “trumpmuskismo” sta già riscrivendo le regole del gioco. Cina e Stati Uniti insegnano che il controllo della tecnologia non può essere lasciato completamente ai privati. Come dimostrato da Pechino con Jack Ma, il geniale founder di Alibaba, diventato ultramiliardario, poi critico del partito comunista e alla fine sparito nel nulla, la Cina, nazionalizzando i colossi Alibaba e Tencent e regolando tutte le sue Big Tech, ha mandato un messaggio chiaro: le infrastrutture critiche, siano esse satelliti o piattaforme social, sono questioni di sovranità nazionale.

L’Europa dovrebbe prendere esempio, perché Musk e Zuckerberg non sono semplicemente miliardari e uomini d’affari: sono arbitri globali. Controllano le telecomunicazioni, modellano il discorso pubblico e determinano chi ha voce e chi no. Non sono entità neutre, ma attori politici. La loro influenza è così vasta che i governi occidentali, pur critici, stringono accordi con loro: Macron collabora con Musk, mentre le trattative italiane con Starlink sono iniziate sotto Draghi, non Meloni.

Se queste figure continuano a operare senza limiti, non ci sarà trasparenza che tenga. Non basta pretendere che i dati siano criptati e custoditi in mani nazionali. L’unica vera soluzione è riportare sotto controllo pubblico le infrastrutture digitali che determinano la nostra sicurezza, la nostra informazione e, in definitiva, la nostra (finta) democrazia.

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