IVREA. Avete mai pensato alla battaglia delle arance come uno sport? Immaginiamo di no. Paolo Vietti, 34 anni, invece, ci ha pensato eccome, tanto da scriverci la tesi di laurea. Massoterapista e chinesiologo, specializzato in attività fisica adattata, conosce bene la manifestazione essendo arancere dei Picche da 20 anni (è Picche d’oro) ed è stato prefetto e principe del Soas.
Da dove nasce l’idea di applicare la scienza a un evento come quello della battaglia delle arance?
«Terminato il percorso di studi in Scienze motorie dovetti, ovviamente, scrivere la tesi di laurea per la quale volevo trovare qualcosa di originale, non trattato ancora da nessuno. Non volli temi sull’allenamento, sullo sport o discipline sportive, ma mi concentrai sul trovare qualcosa inerente al movimento ma che potesse rispecchiare in qualche modo un’attività fisica non ancora studiata. Un giorno mi si accese la lampadina: battaglia delle arance come pratica sportiva! Dubbioso sull’accettazione di quel tema così singolare, lo proposi al mio relatore che, con mio grande stupore, lo accettò all’istante e mi aiutò nella progettazione dello studio».
Perché proprio il Carnevale?
«Perché sono arancere da 20 anni e pensare al getto da un così diverso punto di vista e vedere il parallelismo tra arancere = atleta, mi provocò euforia».
Pensa che studiare scientificamente attività come questa possa aiutare a conoscere meglio la battaglia, rendendola anche più sicura?
«È utile interpretare la battaglia non solo come momento di festa e osare studiarla scientificamente come se fosse uno sport dal momento che vi sono presenti: gesto motorio con un fine preciso, competizione, impegno collettivo per vincere. Sono tutte caratteristiche che rimandano a uno sport di squadra. Seguendo quest’ottica, per esempio come è già attuato nel calcio fiorentino, potrebbe derivarne un’importante trasformazione nella strategia della battaglia e nella struttura delle squadre, con più consapevolezza da parte degli aranceri sul come affrontare l’evento sotto il punto di vista psicologico e motorio. Questa consapevolezza potrebbe portare anche a un miglioramento dell’organizzazione degli spazi in piazza e tra i compagni, dell’intensità del getto e della sua preparazione per arrivare a vincere il carnevale o per sostenere al meglio la battaglia».
Quali sono gli aspetti più interessanti emersi per lo studio della sua tesi?
«La biomeccanica del lancio; ovvero osservare come tutte le strutture del corpo collaborino in sinergia per poter tirare al meglio l’arancia e come la parte metabolica dei sistemi energetici dell’arancere si attivino durante la battaglia. Dietro l’identità del carnevale si cela uno sforzo fisico paragonabile a un vero e proprio allenamento di tre ore, che può ricordare un interval-training».
Ci può spiegare in modo semplice come avviene da un punto di vista biomeccanico un lancio delle arance?
«Certo. Per poter eseguire un lancio efficace, poco impattante sul fisico, bisogna agire su corretti bilanciamenti, rotazioni e sinergie di movimenti, che solo se espressi in modo sincrono possono dare un buon risultato. Tutto parte dai piedi: un’errata impostazione dei piedi sfocia in un tiro scarso. Quindi piedi ben piantati a terra, paralleli tra di loro e ben distanziati, almeno quanto le anche. Gambe piegate, molleggiate ma reattive, come un giocatore di basket, seguite da una buona mobilità di gomito e di spalla che portano l’avambraccio flesso al gomito per caricare il tiro all’indietro. Un buon trofismo muscolare della spalla porta a una potente esecuzione del gesto. Il braccio ha una sua importanza ma il segreto sta nei piedi e nella rotazione del bacino, sono loro che danno la potenza nel tiro, il braccio fa solo effetto fionda. Di fatto il tiro è una intra rotazione del corpo sull’asse trasversale».
Ci sono persone più portate di altre per il getto delle arance? In che modo la preparazione fisica può migliorare la performance fisica dell’arancere?
«Per questo gesto motorio ci si può allenare. Che si tratti di una persona magra e gracilina ma molto elastica, o che sia muscolosa ma rigida, tutti possono raggiungere un buon tiro. Chi può essere più portato? Questo, come nello sport, dipende dalla genetica; ovvero nella qualità delle fibre muscolari e da che percentuale si hanno di fibre bianche e rosse. Chi ha molte fibre bianche è un arancere esplosivo, in breve arco di tempo può tirare con violenza molte arance, invece per chi ha più fibre rosse il tiro è meno esplosivo ma più costante nel tempo. Quindi, in riferimento al discorso di prima, sta nell’intelligenza della squadra a gestire i diversi aranceri, proprio per evitare che si creino i famosi “buchi sotto al carro” perché la squadra non ce la fa a tirare. Bisogna saper gestire le tre lunghe ore di tiro in modo da non affaticare subito l’arancere esplosivo e non lasciare da solo quello meno esplosivo, ma più costante».
Quali errori vede compiere più frequentemente agli aranceri?
«L’errore più comune che noto è l’incapacità di conoscere il proprio corpo, di leggere la situazione in cui si trova e di non saper gestire gli spazi. La gente va alla cieca e tira alla bell’e meglio, incurante dei compagni, della situazione e del contesto. A livello biomeccanico pochi sanno tirare correttamente e in modo coordinato».
In che modo la preparazione fisica può migliorare la performance fisica dell’arancere?
«Io da chinesiologo e preparatore atletico miro all’incremento del vo2max (massimo volume di ossigeno) attraverso esercizi del respiro utili nel dosare le energie sotto sforzo e per lungo tempo. Miro al rinforzo muscolare attraverso esercizi specifici del lancio e alla ottimizzazione della propriocezione. Inoltre aiuto l’arancere alla consapevolezza nel tiro, portandolo alla soddisfazione personale per aver tirato bene in base alle proprie possibilità. Più sono consapevole di come mi muovo, come interagisco con gli altri e come affronto la piazza, meglio renderò come arancere. Questo, purtroppo, non viene insegnato proprio perché non si guarda alla battaglia delle arance come a uno sport».